«Pericoli di infiltrazioni? Così facciamo prevenzione per mantenere il territorio sano»

La firma del protocollo legalità in Prefettura
L’INTERVISTA BELLUNO Sempre più aziende passate ai raggi X prima di ottenere appalti in provincia. È l’effetto dei protocolli per la legalità che...

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L’INTERVISTA
BELLUNO Sempre più aziende passate ai raggi X prima di ottenere appalti in provincia. È l’effetto dei protocolli per la legalità che la Prefettura sta sottoscrivendo. Il primo con l’Usl. Poi ci sarà quello con i comuni. Un’attività di prevenzione anti-infiltrazioni mafiose in vista di Mondiali e Olimpiadi e la crisi post Covid 19. Quasi una missione, quella del prefetto Adriana Cogode, che come viceprefetto nella Prefettura di Messina, si è occupata di Ordine e Sicurezza Pubblica ed Antimafia. Sa bene qual è il pericolo, lo ha visto da vicino. Vuole preservare un territorio sano, come è quello del Bellunese. E spiega come sta lavorando contro eventuali tentativi ingerenza criminale nell’economia. 

Come procedete per l’informazione antimafia?
«Bisogna comprendere bene il significato di informazione antimafia, la capacità di questo tipo di accertamento di focalizzare le relazioni dell’impresa nel tessuto economico. Non si guarda l’impresa in se stessa, ma in relazione al tessuto economico in cui si è mossa. Se vado a guardare i precedenti penali del rappresentante legale dell’impresa emerge magari che è una persona per bene, ma noi cerchiamo il pericolo, non l’esistenza dell’infiltrazione. Se c’è l’infiltrazione ovviamente è un problema di natura giudiziaria. La funzione del prefetto e del codice antimafia è di prevenzione, di intercettare situazioni di pericolo che possano arrivare da rapporti sociali o pregiudizi che stanno a capo di soggetti in relazione con le ditte».
E se il pericolo viene accertato?
«Nel caso venga fuori che questo pericolo c’è anche se la ditta non ha una figura che è sotto inchiesta per mafia o condannato, diciamo che quei soggetti non hanno gli anticorpi necessari. Insomma non ci sono gli anticorpi per poter escludere che interessi illegali possano utilizzare quell’azienda per propri fini».
Tutto questo richiede tanto lavoro.
«È un lavoro molto delicato che viaggia quasi come un processo: analizza tutti i vari segmenti, i tasselli del mosaico e poi bisogna concludere valutando se il pericolo sussiste o non sussiste. Pur in presenza di elementi negativi per arrivare al giudizio antimafia, come ad esempio la condanna di uno dei soci per reati indizianti come la turbativa d’asta, a volte si conclude che il pericolo non c’è. Questo perché magari quella turbativa non era in contesto di criminalità organizzata, ma individuale e ha un rilievo penale, ma non tale da incidere sulla prosecuzione dell’attività dell’azienda.
Sono già due interdittive firmate da lei, cosa succede in questi casi?
«Con l’interdittiva antimafia non è che la società non può più lavorare, ma non può più avvalersi di soldi pubblici: non li deve più toccare. Poi se privatamente qualcuno gli affida lavori, è un altro discorso. Noi dobbiamo impedire che i soldi dei cittadini vengano poi utilizzati da questi soggetti che li riversano nel traffico illecito ad esempio di stupefacenti. Sembrano cose da favola, ma non lo sono».
Cosa accade quando l’interdittiva diventa definitiva?
«È un provvedimento amministrativo e si può impugnare di fronte al Tar. Una volta che è definitivo quella impresa non potrà più accedere agli appalti pubblici: tutto da servizi, forniture, lavori».
Quindi maggiore saranno gli enti aderenti e maggiore sarà il controllo. State lavorando per altri protocolli?

«Alcuni comuni, come Cortina hanno già dato disponibilità a firmare. Se Provincia e Comune di Belluno ritengono di aderire sono ben pronta a farlo. Perché finiti i Mondiali, bisognerà pensare alle Olimpiadi e i vari soggetti attuatori e l’attenzione dovrà essere massima».
Olivia Bonetti
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Il Gazzettino