Riattivare i pozzi di gas nell'Adriatico: «Rischio altissimo per i terreni costieri»

Riattivare i pozzi di gas nell'Adriatico: «Rischio altissimo per i terreni costieri»
PORTO TOLLE - Non c'è pace per l'Adriatico. Dopo il via libera da parte del ministero della Transizione ecologica a nuove trivellazioni per la ricerca di...

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PORTO TOLLE - Non c'è pace per l'Adriatico. Dopo il via libera da parte del ministero della Transizione ecologica a nuove trivellazioni per la ricerca di idrocarburi come quello del giacimento denominato Teodorico, nelle ultime settimane è stata messa sul tavolo anche la proposta di ri-attivare alcuni pozzi di gas presenti in Adriatico. Ufficialmente la scelta sarebbe meramente economica: trivellare nel sottosuolo italiano a un costo di estrazione decisamente minore: circa 5 centesimi al metro cubo a fronte dei 50-70 centesimi al metro cubo che l'Italia paga importando il metano.


LA BOCCIATURA

Non è d'accordo su questa paventata ipotesi Arturo Lorenzoni, docente di Economia dell'energia all'Università di Padova e portavoce dell'opposizione in consiglio regionale: «Non vi è alcun senso economico rispetto alla possibilità di attivare nuovi pozzi di gas in Adriatico, in particolare nella zona del Delta del Po. In primo luogo, l'intero ammontare delle riserve stimate, da estrarre lungo un arco di tempo di tre decenni almeno, potrebbe coprire circa due anni del consumo italiano odierno. Certo, si ridurrebbe l'import, ma non affrancherebbe l'Italia dalla dipendenza dai paesi fornitori, su tutti Russia e Algeria».


A fronte di un eventuale risicato risparmio, ad avere la peggio sarebbero le zone interessate che già subiscono il fenomeno della subsidenza, lo sa bene il Delta. «Negli scorsi decenni i terreni costieri di Veneto ed Emilia Romagna si sono abbassati di decine di centimetri quando i pozzi erano in funzione continua Lorenzoni -. Quei territori andrebbero dunque incontro a un rischio ingiustificabile». Ci sono anche altre motivazioni contro l'ipotesi: «La transizione ecologica non consente di investire più in alcun nuovo pozzo di petrolio o gas. Lo ha messo ben in luce il rapporto pubblicato dalla International Energy Agency Net Zero 2050: il credito residuo di carbonio da emettere in atmosfera per rispettare i due gradi di incremento della temperatura del globo è inferiore a quanto sarà rilasciato dalla combustione dei giacimenti già in uso».


A questo sono da aggiungersi pure gli impegni di decarbonizzazione assunti dal Governo con il Fit for 55 europeo di agosto 2021 che non permettono ulteriori investimenti nei fossili. «Quanto all'occupazione generata rimarca Lorenzoni - altrettanti posti di lavoro saranno creati con gli investimenti in eolico e solare. È finito il tempo in cui si dovevano accettare costi sociali elevati per creare posti di lavoro, Marghera e Taranto insegnano, purtroppo».


La soluzione è lavorare a livello europeo con la definizione di una corretta tassonomia che guardi alla reale sostenibilità degli investimenti per la ripresa economica e, a livello nazionale, per indirizzare gli investimenti in comparti che hanno una prospettiva economica di lungo periodo». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino