Profughi, porte chiuse del Comune "Spediti" a Udine e Trieste

Controlli sui profughi al Bronx di Pordenone
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PORDENONE  Poche settimane fa, il vicesindaco Eligio Grizzo aveva annunciato un incontro con il nuovo prefetto, Maria Rosaria Maiorino. Al centro del dibattito ci sarebbe stata la linea dura del Comune sul tema dell’immigrazione. Dai porti chiusi del ministro Matteo Salvini, alle porte chiuse della giunta Ciriani, che non voleva e non vuole altri arrivi in città e in provincia.  In realtà non c’è nemmeno stato bisogno del meeting, perché i numeri hanno anticipato sia la politica, intesa come amministrazione, che le politiche, intese come agglomerati di teorie e linee guida. E non sono stati solo i numeri, a precedere le azioni di governo locale, ma anche l’atavico meccanismo del passaparola. In breve, a Pordenone stanno diminuendo i richiedenti asilo, sia quelli ospitati nelle strutture che quelli in arrivo dalle rotte delle migrazioni. In realtà la diminuzione delle presenze a Pordenone non dipende dalla politica. È più che altro in Questura che la musica è cambiata. Oggi, per un richiedente asilo, è molto più complicato accedere agli uffici dipendenti dal questore per avviare la pratica necessaria alla richiesta d’asilo. Le porte sono chiuse, le file di fronte all’ingresso sono praticamente scomparse. E la voce si è sparsa: ora i richiedenti asilo non bussano quasi più alla porta della Questura, ma si rivolgono direttamente alla Caritas. Lì sono accolti dai legali che si occupano dell’assistenza diretta alle persone che dichiarano di voler ottenere lo status di rifugiato. Ma sono solo le pratiche-limite, quelle figlie di situazioni di pericolo oggettivo (ad esempio una guerra in corso nel Paese d’origine, o ancora una conclamata persecuzione di genere o razziale, fino ad arrivare alla minore età del migrante come fattore chiave per la determinazione dell’urgenza), ad andare avanti. Il risultato è chiaro: i migranti, appresa la notizia del cambio di rotta, hanno iniziato a “cancellare” Pordenone dalla mappa delle destinazioni appetibili. Ecco perché oggi i numeri sono in aumento sia a Udine che a Trieste. Semplicemente il flusso non si è arrestato: i migranti hanno solamente cambiato obiettivo, dal momento che a Pordenone è più difficile entrare. 

I NUMERI 
Il report sull’immigrazione diffuso dalla Regione conferma la tendenza. Per la prima volta dall’inizio dell’anno, infatti, la settimana scorsa il territorio pordenonese è sceso al di sotto delle mille presenze. I richiedenti asilo sono 960, mentre nel report mensile stilato a fine giugno ne risultavano 1006. A gennaio, invece, erano 1077 in tutta la provincia. 
LA PROTESTA

Chi lottava da tempo contro quella che definiva “un’invasione”, può iniziare a cantare vittoria. Ma c’è anche l’altro fronte, quello che invece tende la mano ai migranti brandendo la bandiera del “restiamo umani”. Luigina Perosa, leader del movimento “Rete solidale”, continua ad essere dalla parte degli aspiranti rifugiati, e critica la stretta che in provincia di Pordenone ha portato alla diminuzione degli arrivi. «Solo le situazioni-limite - ribatte - sono gestite direttamente dalla Questura. Serve più umanità da parte di tutti». A dominare, oltre tutte le posizioni, sono però i numeri, che certificano un’inversione di tendenza che preoccupa Udine e Trieste.
Marco Agrusti Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino