OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
VENEZIA C'è chi non ha più rialzato le saracinesche dal lockdown. Chi le aveva abbassate definitivamente già dopo l'acqua alta del 12 novembre dell'anno scorso. In tutto sono cinque i negozi che hanno chiusi i battenti sul ponte di Rialto. Proprio qui, dove un tempo non si passava per la pressione dei turisti e l'affitto di una bottega da 12 metri quadri arrivava anche a 8 mila euro al mese! Oggi la preoccupazione la leggi sui volti dei titolari dei negozi rimasti aperti, mentre i dipendenti sono in cassa integrazione. Un altro simbolo, dopo quello di Piazza San Marco mezza chiusa, della crisi che attanaglia la città storica.
CHI HA CHIUSO E pensare che solo pochi anni fa ancora si fantasticava sul rilancio del ponte: dopo il restauro che ne aveva ripulito le pietre, anche le botteghe - si diceva - dovevano ritrovare la qualità perduta. E invece... L'uno due dell'acqua alta e del covid ha mostrato tutte le fragilità di un tessuto commerciale che senza le masse di turisti non regge, in una città sempre più povera di residenti.
LA RABBIA DI CHI RESTA Le testimonianze di chi resta aperto, nonostante tutto, sono amare. Filippo Prevedello, che gestisce un negozio di articoli sportivi, era l'anima di un comitato dei commerciati del ponte che si è sciolto. Il suo negozio aveva tre dipendenti. «Tutti in cassa integrazione - racconta -. Chi prendeva 1.500 euro, oggi ne ha 690. Una follia la cassa integrazione, con il contratto del commercio! E alla fine dovrò licenziarli. Non posso permettermi altro... Ecco perché i negozi sono chiusi. Questa città ormai viveva solo di turismo, non abbiamo più clientela residente su cui contare. E non ci sono politiche per la piccola imprenditoria, né a livello nazionale, né locale». Concorda Marco Jovan, titolare di una storica gioielleria sul ponte specializzata in cammei, anche lui con i dipendenti in cassa integrazione: «Le difficoltà delle attività commerciali sul ponte di Rialto erano un problema giù in atto. Ora siamo tutti all'80% in meno di incassi. Perché Venezia non ha più un tessuto urbano. Non siamo a Treviso, Vicenza, Verona, dove i residenti hanno salvato i negozi in questo momento di crisi. Senza turismo qui tutto è morto. E siamo arrivati a questo dopo tante scelte scellerate». Jovan chiude con una provocazione: «A questo punto io metterei il biglietto d'ingresso anche adesso. Venezia deve selezionare la clientela, riposizionarsi su un livello alto. Invece ha puntato su un marketing basato solo sul prezzo e questi sono i risultati».
Leggi l'articolo completo suIl Gazzettino