La poliziotta che salvò un ragazzo: «In quei momenti ti tuffi e non pensi a niente»

PADOVA - La divisa di Domenico è rimasta lì, appoggiata sulla sedia nel suo ufficio al Reparto prevenzione crimine di Padova. Sulla scrivania ci sono ancora...

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PADOVA - La divisa di Domenico è rimasta lì, appoggiata sulla sedia nel suo ufficio al Reparto prevenzione crimine di Padova. Sulla scrivania ci sono ancora l’agenda, le penne e tutti gli altri effetti personali del poliziotto eroe morto inghiottito dal Gorzone. Patrizia Bolognani guarda quella scrivania ma il suo pensiero va molto più in là. Ai mille momenti passati assieme al collega ma anche alla drammatica esperienza personale di quattordici anni fa quando tuffandosi nel Bacchiglione riuscì a salvare un ragazzo che voleva farla finita. 


La sovrintendente capo Patrizia Bolognani, 55 anni di cui 35 passati in polizia e 29 proprio a Padova, parla da vicesegretaria provinciale del sindacato Sap ma parla soprattutto da poliziotta che sa bene cosa significhi lanciarsi nel fiume gelido senza pensare a nient’altro.

Il suo collega Domenico ha visto un uomo in pericolo di vita e si è tuffato subito in acqua, come fece lei quattordici anni fa...

«Il nostro compito primario è salvare le persone ed è proprio il nostro istinto a dirci di lanciarci anche in una situazione dove tutti scapperebbero. È il motivo per cui ci siamo arruolati. Si getta il cuore oltre l’ostacolo con grande coraggio e si diventa inconsapevolmente eroi».

Lei era riuscita a salvarsi. Come si spiega la tragedia di venerdì?

«Più che dalle correnti, secondo me il problema principale arrivava dal fondale pieno di fango e melma. Sì crea una palude in cui è difficile muoversi e l’argine è molto verticale. Non è affatto facile portare su una persona che si aggrappa a te». 

Quattordici dicembre 2009. Cosa ricorda?

«Un ragazzo con intenti suicidi si era gettato in acqua dall’argine del canale Scaricatore. Io avevo sentito la nota radio, ero corsa sul posto e non ci avevo pensato un attimo. Mi ero tolta anfibi, giacca e pistola e mi ero subito buttata».

Che sensazioni si provano in un momento simile?

«Ricordo bene la botta al cuore provocata dall’acqua gelida. Mi era mancato subito il respiro. Domenico avrà provato sicuramente quella stessa terribile sensazione».

E quanto finalmente si riesce ad agguantare la persona in pericolo?

«In quei casi la persona è impaurita, si aggrappa e diventa tutto ancora più difficile. Io quella volta ero stata fortunata e devo ringraziare Dio. Purtroppo Domenico non lo è stato». 

Aveva avuto modo di conoscere il ragazzo salvato?

«Ero andata a trovarlo in ospedale. Ricordo bene la sua famiglia: avevano già perso un altro figlio in un incidente stradale, gli ero rimasto solo questo. Mi ringraziarono molto».

Oggi invece tutti ringraziano Domenico per il suo gesto comunque eroico...

«Le sue cose sono qui in ufficio e non vogliamo toglierle da lì. Lui è ancora con noi, non riesco a parlarne al passato. È uno della nostra famiglia». 

Che messaggio vi lascia?
«Un messaggio di enorme coraggio, un messaggio che rappresenta al meglio il Reparto prevenzione crimine che per me è la vera punta di diamante della Polizia. È stata una botta tremenda e ancora non ci crediamo, ma dobbiamo andare avanti anche per lui».

 

 

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Il Gazzettino