La sua opera più celebre, pietra miliare per conoscere non solo gli usi, i mestieri, i personaggi più celebri della storia della Serenissima, ma anche gli abiti che...
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Non è certo per esempio se fosse nato a Venezia, pur sapendo che ciò avvenne nel 1731 in una famiglia di origine fiamminga i cui membri furono quasi tutti pittori e disegnatori, sia pure di qualità non eccelse: il nonno Jan figura iscritto nella corporazione dei pittori di Dordrecht, nel Paesi Bassi, almeno fino al 1695. Ebbe due figli: Orazio, attivo alla corte di Luigi XV di Francia, e Alessandro, che nacque a Roma e si spostò poi su Venezia, dove probabilmente fece nascere Giovanni (che altri non è se non Jan, ancora). Di Grevembroch sappiamo – grazie ad alcuni scritti dello storico Gian Antonio Moschini – di alcuni quadri dipinti per una cappella della Madonna dell'Orto e per il monastero di Sant'Anna a Castello, ma nulla di pittorico è riuscito ad arrivare fino ai giorni nostri: anche una “Battaglia di Chioggia”, attribuitagli per molto tempo, si è scoperto essere opera del padre. Se dunque oggi lo si ricorda è soprattutto per il lavoro monumentale che gli commissionò il patrizio veneziano Pietro Gradenigo, nella cui casa sembra che il pittore abbia anche abitato a lungo. Il nobile, morto nel 1776 più che ottantenne, fu una delle maggiori figure di studioso e cultore di memorie cittadine che si possano ricordare: suoi sono i trentotto volumi dei “Notatorii” e i ventisei dei “Commemoriali”, opere nelle quali Gradenigo annotò lungo i decenni tutti i fatti rilevanti di vita veneziana ai quali assistette. Il nobile veneziano fu dunque mecenate e committente degli acquerelli di un giovane Grevembroch (aveva 23 anni quando si accinse a cominciare), ai quali il pittore dedicò complessivamente un ventennio della propria vita; ogni acquerello fu per fortuna accompagnato da cenni illustrativi che, sebbene redatti nello stile ampolloso tipico dell'epoca, rendono viva la memoria di quello scorcio di fine Repubblica: perché assieme ai volti, alle sfumature e agli stili degli abiti, in ogni pagina compaiono commenti arguti e ricchi di precisazioni storico aneddotiche, con tutta probabilità suggeriti almeno in parte dal suo erudito committente. E, soprattutto, il colore: Grevembroch aveva avuto due illustri predecessori, il tardo cinquecentesco Giacomo Franco degli “Habiti d'huomini et donne venetiane” e il suo conteporaneo Gaetano Zompini, autore de “Le arti che vanno per via”, dai quali attinse per ispirarsi ad alcune tavole. Ma per la prima volta, imprimendo sulla carta anche il colore degli abiti (non solo quelli ricchi e sfarzosi dei patrizi o dei dignitari, già presenti in molti dipinti, ma anche quelli della povera gente) Grevembroch donò ai posteri anche una memoria cromatica. Un tesoro di seicentoquarantotto tavole custodito al Museo Correr di Piazza San Marco.
Giovanni Grevembroch morì a Venezia nel 1807 all'età di 76 anni. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino