«Il mio 11 settembre 2001: atterraggio d'emergenza col Boeing e 10 ore bloccato in aereo»

Luciano Buja, esperto pilota
PADOVA - A vent’anni di distanza nella mente del comandante Luciano Buja restano tanti ricordi indelebili ma soprattutto tre flash. Il primo: «Stavamo sorvolando...

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PADOVA - A vent’anni di distanza nella mente del comandante Luciano Buja restano tanti ricordi indelebili ma soprattutto tre flash. Il primo: «Stavamo sorvolando l’Atlantico ed eravamo in prossimità dell’isola di Terranova. Un collega americano mi avvisa via radio che c’è stato un disastro, un’esplosione a New York». Il secondo: «Atterriamo d’urgenza in Canada e sulla pista ci sono quaranta aerei. Sembrano tanti taxi in doppia fila». Il terzo: «Due settimane dopo arrivo a New York e decido di andare a vedere l’area di Ground Zero. Mi si accappona la pelle. Le travi d’acciaio delle torri sembrano cavatappi e tutto è impregnato di un fortissimo odore di carosene: quello degli aerei che si sono schiantati. Non lo scorderò più». 


Luciano Buja è il pilota del Boeing 747 decollato alle 9.30 dell’11 settembre 2001 con direzione New York. Il volo Alitalia 604, però, nella Grande mela non ci è mai arrivato. Avvisato dell’attentato a tre ore dall’atterraggio, l’aereo italiano ha virato verso il Canada ed è stato bloccato dieci ore in una pista a dell’aeroporto di Halifax Nuova Scotia. Considerate le ore di volo e quelle di angoscia dentro la cabina, parliamo di 17 ore che nessuno di quei 313 passeggeri ha potuto dimenticare. Adesso, alla vigilia del ventesimo anniversario di un attentato che ha cambiato il mondo, Luciano Buja si guarda indietro e racconta tutto. 

ESPERIENZA
Parliamo di un pilota espertissimo. Sei anni nell’aeronautica militare, trenta con il tricolore di Alitalia, poi cinque alla Turkish Airlines e infine gli ultimi anni di carriera come ispettore di volo all’Enac di Venezia. «Quella mattina stavamo già volando da più di sei ore - racconta - Eravamo prossimi alle coste dell’isola di Terranova quando un collega americano mi ha informato della chiusura totale di tutto lo spazio aereo americano a tempo indefinito con l’ordine di atterrare il più presto possibile sull’aeroporto più vicino. Ho contattato Roma e ho scoperto cos’era successo. Era tutto terribilmente vero». 

IN PISTA
Un altro nitidissimo ricordo è quello «degli oltre quaranta aeroplani, tutti di lungo raggio provenienti dall’Europa, atterrati ad Halifax Nuova Scotia e allineati su una pista secondaria in doppia fila come tanti taxi all’uscita della stazione ferroviaria. Hanno scaricato in un colpo solo più di diecimila persone di tutte le nazionalità. Dopo dieci ore di attesa a bordo - racconta - i miei 313 passeggeri sono stati fatti scendere dall’aereo e trasportati con i mezzi più disparati in una scuola subito attrezzata per accoglierli. C’erano tantissimi cittadini pronti ad offrire biancherie, generi di prima necessità, ma anche i loro telefoni e le loro case. Splendido. L’equipaggio si stava preparando a passare la notte in aereo ma alla fine siamo stati trasferiti in un motel a cento chilometri di distanza».

IL RITORNO
I due giorni successivi sono colmi di paura e tensione. «Finalmente la mattina del venerdì abbiamo recuperato 120 passeggeri italiani, perché gli altri hanno scelto l’ardua e complicata alternativa di raggiungere gli Usa con altri mezzi, e abbiamo riattraversato l’Atlantico in direzione di Milano. Avevo visto le Torri Gemelle una settimana prima e ci sono poi tornato 15 giorni dopo. Da brividi». 


Oggi Buja è un pilota in pensione, si fregia di un encomio per «l’ottima gestione dell’evento» e pensa a quante cose sono cambiate da quel giorno: «Ora la porta della cabina di pilotaggio è blindata ed è cambiato tutto, dai check-in all’imbarco». Nella storia della sicurezza aerea c’è un “prima” e un “dopo”. In mezzo, la tragica svolta dell’11 settembre 200 Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino