«Longo, scendi giù, dobbiamo parlare». La lite e poi 3 spari, le carte dell'accusa

Luca Zanon e Silvia Maran
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PADOVA - L'avvocato Piero Longo conosceva la donna che si è presentata a casa sua assieme agli aggressori Silvia Maran e Luca Zanon. É lo stesso professionista a riferirlo agli agenti di polizia giunti in riviera Tiso da Camposampiero nell'immediatezza del fatto. Lo si evince dall'ordinanza con cui il giudice delle indagini preliminari Claudio Marassi ha scarcerato la coppia, applicando la sola misura dell'obbligo di dimora nel comune di Padova. Longo racconta di essere stato attirato con l'inganno al piano terra dell'immobile da una ragazza a lui nota e, una volta aperto il portone, aggredito nonché accusato di un fatto molto grave risalente nel tempo. Un particolare che viene poi riferito agli agenti anche da un testimone, un vicino di casa del legale. Quest'ultimo riferisce di aver udito del trambusto attorno alle 23.10 e di essere uscito per controllare. Mentre si avvicinava all'abitazione di Longo avrebbe udito una voce maschile - evidentemente quella di Luca Zanon - rivolgere al legale la gravissima accusa.

GLI INTERROGATORI
Davanti al giudice la commercialista e il compagno si sono però ben guardati dallo spiegare in modo dettagliato l'origine della vicenda. Hanno riferito di non aver mai conosciuto in precedenza l'avvocato Longo e di essersi limitati ad accompagnare Rosanna C. che voleva parlargli per suoi fatti privati. Sul possibile movente dell'aggressione non sono emersi ulteriori elementi ed è lo stesso gip Marassi a sottolineare a più riprese come la versione degli indagati «debba essere ulteriormente riscontrata e verificata alla luce degli elementi in corso di acquisizione, in particolare al fine di verificare l'effettiva non conoscenza tra le parti prima del fatto». Il giudice pare non credere troppo alla commercialista e al compagno quando scrive che i due si sono recati a casa di Longo «per un reale motivo ancora da accertarsi». Ne tratteggia l'indole violenta e la scarsa capacità di reprimere i loro istinti quando iniziano a discutere con Longo.
«Scendi giù perché dobbiamo parlare»: è questa la frase, riferita da un altro testimone, con cui i due convincono il legale ad uscire in strada. «Scendo subito» è la sua risposta al citofono. La discussione ad alta voce trascende quasi subito. Per prima Silvia Maran gli sferra un calcio e tenta di colpirlo al volto, poi Luca Maran gli si avvicina in maniera provocatoria. É a quel punto che Longo estrae dalla tasca dei pantaloni la sua pistola Smith & Wesson calibro 38 pur senza puntarla contro la coppia. Sono le immagini delle telecamere di videosorveglianza di riviera Tiso a consegnare alla polizia l'esatta dinamica. Quel che accade dopo è invece ricostruibile solo con le testimonianze. Perché Piero Longo viene sospinto con veemenza nell'androne del palazzo dove si consuma la colluttazione. La commercialista e il compagno provano in ogni modo a strappargli la pistola di mano. Tra pugni, calci e schiaffi i tre ruzzolano a terra. Ed è a questo punto che l'ex senatore esplode tre colpi di pistola. Due le ogive poi recuperate dalla polizia. La prima era rimasta sul pavimento, l'altra si era conficcata nel muro interno del palazzo. Maran e Zanon sostengono di essersi limitati a difendersi e di aver asportato la pistola solo perché in totale panico e per evitare che fosse usata nei loro confronti mentre si allontanavano. Sono poi loro stessi ad avvisare la polizia dell'accaduto e a consegnare spontaneamente l'arma. Gli agenti la recuperano su una scala in legno all'ingresso dell'abitazione di via Castelfidardo dove la coppia risiede.
NUOVI ACCERTAMENTI

Per il giudice sussistono gravi indizi di colpevolezza a carico della coppia, che deve rispondere di lesioni personali aggravate. «É però necessario - scrive Marassi - sentire nuovamente la persona offesa al fine di chiarire la vicenda e lo svolgimento dei fatti, in particolare con riferimento alla presenza dell'arma ed al suo utilizzo». In quanto alle esigenze cautelari il gip non ha dubbi: sono giustificate dalla condotta non occasionale, dalla personalità negativa degli indagati, e dal concreto ed elevato pericolo di commissione di ulteriori delitti. A tutelare la parte offesa è però sufficiente una misura cautelare più lieve rispetto agli arresti domiciliari sollecitati dal pubblico ministero Roberto D'Angelo.
Luca Ingegneri Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino