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PADOVA - Il pestaggio? Una risposta alla vista della pistola, dettata dal timore per la propria incolumità. La vittima? Una persona che non avevano mai visto né conosciuto. L'udienza di ieri del processo per l'aggressione all'avvocato Piero Longo, avvenuta la sera del 30 settembre 2020, ha visto testimoniare i due imputati: il 52enne Luca Zanon e la 50enne Silvia Maran, fidanzati all'epoca dei fatti. Un giorno «atteso da tre anni per poter raccontare la loro verità in un processo in cui si sono sempre considerati la parte lesa» hanno commentato la loro legale Cinzia Ulmiri.
LE VERSIONI
In aula c'erano gli imputati (avvocati Ulmiri, De Simone e Zazza) e l'avvocato Longo, parte civile difeso dalla collega Anna Desiderio. Davanti al giudice monocratico Vittoria Giansanti, Zanon e Maran (accusati di lesioni gravi, porto abusivo di arma e violazione di domicilio) hanno risposto alle domande del pm Roberto D'Angelo e all'esame degli avvocati, fornendo le loro versioni su quanto accaduto e sui motivi dell'aggressione. La coppia, inchiodata da un video, non ha mai negato il pestaggio. Ma ha ribadito che quella sera erano arrivati sotto casa Longo, in riviera Tiso da Camposampiero, solo per accompagnare un'amica che dall'avvocato voleva un chiarimento, sostenendo di essere passati alle mani a fronte di un atteggiamento aggressivo del Longo stesso, sceso in strada armato di pistola (legalmente detenuta). Oltre alla dinamica degli eventi il pm e l'avvocato Desiderio hanno voluto approfondire il legame di Zanon e Maran con la donna (all'epoca trentunenne) che quella sera era con loro, prosciolta in udienza preliminare e in attesa dell'Appello.
LE DICHIARAZIONI
«Quella ragazza l'avevo forse intravista una volta prima di quella sera ha spiegato Zanon.
Maran ha poi raccontato come avesse conosciuto la ragazza a scuola di danza e di come avesse saputo in modo sommario della sua «infanzia infelice». «Ci conoscevamo superficialmente, solo quella sera mi ha raccontato dei rapporti che avrebbe avuto con l'avvocato fin da ragazzina, facendomi capire che era disperata perché lui non voleva più averla attorno ha raccontato. Quando mi ha detto che voleva andare a casa sua piangeva: volevo solo accompagnarla all'auto, ma vedendola in quello stato non mi sono sentita di lasciarla andare da sola. Longo non lo conoscevo, lei non lo ha mai nominato. Lo chiamava "P", il suo "papino": mi aspettavo una persona che davanti a una ragazza disperata l'avrebbe abbracciata. Invece ci ha accolti con disgusto». Nella ricostruzione temporale Maran ha avuto qualche incertezza su un punto su cui l'accusa ha insistito molto, non senza qualche momento di tensione. Il video riprende la donna che colpisce, sull'uscio, l'avvocato con quelli che paiono un calcio e una manata. «Era solo un buffetto» ha precisato Maran, sostenendo all'inizio di aver agito per «spingerlo a guardare la ragazza». Poi però ha detto di aver colpito perché aveva intravisto la pistola. Infine ha sostenuto di aver udito uno sparo subito dopo la manata e aver visto Longo puntare la pistola contro Zanon.
Si tornerà in aula il 14 febbraio, con l'inizio delle deposizioni dei molti testimoni della difesa. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino