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Ci sono giganti, come la Johnson & Johnson Medical, che dovranno sborsare quasi dieci milioni di euro. Per la precisione 9,8. Altre ventisei aziende hanno ricevuto tutte un conto superiore al milione: si va dagli 8,1 milioni della Medtronic Italia l milione e 100mila euro della Becton Dickinson, fornitore ad esempio di reagenti. La cifra totale fa paura: quasi 128 milioni, che ora la Regione aspetta dalle aziende private del settore medico per effetto di una norma chiamata “payback sanitario”. I termini di pagamento sono stretti: gennaio, primo “avviso”. E gli anni di riferimento non sono nemmeno quelli della pandemia, quando la spesa pubblica è schizzata in alto: i dati di cui si parla, infatti, sono il 2015, il 2016, il 2017 e il 2018. Sono soldi in più spesi dal servizio sanitario pubblico che ora le aziende fornitrici devono tornare al Friuli Venezia Giulia per effetto di una norma aspramente contestata. Ma ancora esistente. Il rischio? C’è ed è alto. Soprattutto i privati che non sono dei colossi internazionali, potrebbero non farcela a pagare.
COSA SUCCEDE
La Direzione centrale Salute del Friuli Venezia Giulia non ha fatto altro che applicare la legge. Con una comunicazione via posta certificata, a metà dicembre è stata recapitata la “batosta” a 1.206 aziende che nei quattro anni di riferimento hanno fornito materiale di natura medica (attrezzature e prodotti vari) alle Aziende sanitarie del territorio oppure all’Azienda di coordinamento regionale.
IL SISTEMA
La norma statale risale ancora al 2015. Per la prima volta, però, il conto arriva davvero alle aziende che nel tempo hanno fornito alle Regioni (in questo caso al Friuli Venezia Giulia) dispositivi medici di diversa complessità e importanza. L’ente amministrato da Massimiliano Fedriga conta su pagamenti per quasi 128 milioni di euro, mentre in Veneto il conto è schizzato a più di 220 milioni. Le aziende private, per effetto del meccanismo di payback, sono costrette a restituire una quota dello sforamento della spesa per i dispositivi medici. E questa quota, per il 2017, è arrivata anche al 50 per cento dello scostamento stesso. La parte restante della maggiore spesa, invece, resta a carico dei bilanci regionali, già appesantiti per quanto riguarda i capitoli legati alla sanità.
I problemi ora sono due: le aziende, tramite le associazioni di categoria, tuonano contro un sistema che le obbliga a pagare - a stretto giro - cifre difficilmente sopportabili soprattutto per le realtà più piccole; la Regione, invece, conta sulla quota di questo riparto per non bruciare ulteriori risorse e per programmare l’attività sanitaria. Di certo, per ora, ci sono i numeri. E i milioni di euro. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino