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SEDICO - Si chiamava Michael Bryant, era nato e cresciuto in Sudafrica fino ai vent’anni e venne a morire tra le nostre montagne, dove combattè per la libertà. La storia del partigiano “Mich” è ricordata ormai solo sulla sua lapide oggi, collocata vicino alla passerella del Peron, in comune di Sedico. Molti l’hanno vista e letta con sorpresa e curiosità. «Mich sudafricano 13-7-1944 – vi si legge - qui cadde pugnando, compagno di lotta dei partigiani italiani». Vicino un’altra lapide ricorda altri due partigiani, Francesco Da Gioz, Checco, impiccato il 17 febbraio con Igino D’Incà, nome di battaglia Faina.
IN PRIMA LINEA
Michael Bryant Aveva appena finito il liceo con ottimi risultati e si era distinto anche come un grande sportivo: era stato campione di pesi welter e di corsa. Quando divampò la Seconda guerra mondiale, Mich, con due amici, si arruolò nei Kaffrarian rifles, volontario a fianco delle truppe inglesi in Nord Africa. E finì la sua vita avventurosa in comune di Sedico, da partigiano, cadendo in combattimento, il 13 luglio 1944. Ma come arrivò, Mich, su queste montagne? Perché scelse di combattere e morire quassù? Molti se lo sono chiesto, leggendo quella lapide, anche in questi giorni.
LE OPERE E LA MORTE
Partecipò a molte azioni, tra le quali la liberazione dei prigionieri rinchiusi nelle carceri di Baldenich. Mich, che era biondo e aveva gli occhi azzurri, parlava un po’ di tedesco. Si presentò come se fosse a capo di una pattuglia nazista mentre alcuni partigiani italiani e quattro russi si finsero suoi prigionieri. Riuscirono ad essere convincenti ed a farsi aprire le porte del carcere, a disarmare le guardie ed a far fuggire dopo aver liberato un gruppo piuttosto nutrito di prigionieri. Mich e i suoi compagni, con i prigionieri che avevano liberato, tornarono quindi in montagna. Cinque degli evasi, successivamente, furono nuovamente catturati. E contemporaneamente si scatenò la rappresaglia nazista. Passarono pochi mesi. Il 13 luglio 1944, verso le due del mattino, Mich, che era reduce da una missione con una pattuglia partigiana, stava rientrando al campo base quando venne sorpreso al Peron, appunto, sul ponte di corde, dai tedeschi che aprirono il fuoco. Mich riuscì a replicare ai colpi dei nazisti fino a dover cambiare caricatore, pur essendo stato subito ferito. Dietro al suo corpo trovarono riparo dai colpi altri suoi compagni. Mich morì così: tra le braccia di uno suo amico d’infanzia, Desmond, che, dopo l’8 settembre, aveva scelto la stessa strada di Mich ma che riuscì a sottrarsi al fuoco nemico ed a portarsi in salvo. Mich fu quindi sepolto al Peron il giorno dopo, presenti numerosi abitanti del luogo e diversi partigiani che sfidarono la sorveglianza dei nazisti per dare l’estremo saluto al loro compagno d’armi.
IL RICORDO
Oggi all’inizio della passerella in corde sul Cordevole, una lapide ricorda con l’arida essenzialità delle date la storia di Mich. Lì vicino, un’altra lapide, ricorda invece il sacrificio dei partigiani Francesco Da Gioz, “Checco”, e Igino D’Incà “Faina”. Da Gioz era ed è tuttavia indubbiamente il più noto: nato a Sedico, emigrato prima in Istria e poi in Isvizzera, fu tra i fondatori del Pci bellunese di cui fu anche il primo segretario.
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Il Gazzettino