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La rivincita di Paris Bordon. A lungo trascurato, il "Divin Pitor" è ritornato sotto la luce dei riflettori grazie alla mostra che si è recentemente chiusa nella sua Treviso, ma non solo: l'artista cinquecentesco si trova (suo malgrado) al centro di un lungo contenzioso a Bari. Il vincolo ministeriale apposto su due suoi quadri, improvvisamente apparsi in occasione di una rassegna, viene infatti contestato dall'attuale proprietario, un nobile che ha svelato il motivo per cui quelle opere sono arrivate in Puglia dal Veneto: come pagamento per debiti di gioco nel diciottesimo secolo.
DUE SCOPERTE
A svelare il curioso retroscena è la sentenza con cui il Consiglio di Stato, così come già il Tar della Puglia nel 2018, questa settimana ha respinto il ricorso del marchese Giulio Maria de Luca di Melpignano, cavaliere di Gran croce d'onore e devozione in obbedienza, proprietario di un'importante collezione privata di dipinti del 1500 e 1600.
COMMITTENZA
Il provvedimento era stato giustificato, secondo quanto riassunto dai giudici amministrativi, «come testimonianza della produzione erotico-allegorica dell'artista; come testimonianza del legame tra la committenza pugliese e gli artisti operanti a Venezia; per la provenienza dalla collezione dei marchesi de Luca di Melpignano di Lecce, tra le più antiche della regione». Il nodo dei committenti è cruciale nell'azione giudiziaria promossa dal nobile, evidentemente interessato a garantire al quadro di sua proprietà (e a quello donato alla figlia) maggiore libertà di movimento rispetto a quella concessa dal vincolo, che di fatto li ha ancorati alla Puglia. Nel giudizio di secondo grado, infatti, è stato fatto presente che i dipinti sono arrivati fin laggiù «non già per un particolare legame dell'artista con il territorio o con la committenza del territorio, quanto piuttosto perché furono oggetto di dazione in pagamento per debiti di gioco nel 1700». A riconoscere questa circostanza è anche la relazione ministeriale, la quale però ha comunque collocato le opere nell'ambito della famiglia salentina del marchese, «il che conferma e non smentisce il legame dei dipinti con la committenza pugliese», ha concluso il Consiglio di Stato, respingendo il ricorso. Dunque le tele resteranno in Puglia, rinverdendo la fama del "Divin Pitor", cittadino della Repubblica di Venezia costretto a spostarsi nei vasti domini della Serenissima in cerca di lavoro, quando capì di non trovare spazio nella bottega di Tiziano e nemmeno nelle chiese già straripanti d'arte, tanto da decidere di dedicarsi ai ritratti delle belle dame. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino