Gianluca, l'ingegnere capace di sfidare la strada. Migliaia di chilometri con il cappello da alpino

Nato a Barcis Gianluca Pagazzi aveva tre sogni da bambino: la piuma sul cappello, lavorare con il calcestruzzo e correre

Gianluca, l'ingegnere capace di sfidare la strada. Migliaia di chilometri con il cappello da alpino
PORDENONE - Fortunato, ma la fortuna non sempre basta. Serve anche essere caparbio, deciso e soprattutto capace di concentrarsi al massimo senza sentire fatica e sforzo per...

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PORDENONE - Fortunato, ma la fortuna non sempre basta. Serve anche essere caparbio, deciso e soprattutto capace di concentrarsi al massimo senza sentire fatica e sforzo per raggiungere gli obiettivi. Solo così è possibile, come ha fatto Gianluca Pagazzi, classe 1967 con Barcis nel cuore e nelle vene, raggiungere tutti e tre i risultati che da piccolo si era prefisso: alpino, ultrarunner e ingegnere di professione. L'ordine di preferenza è difficile da sistemare, magari cambia ed è cambiato nel tempo, ma nessuna di queste scelte lo ha mai tradito, nè lui ha mai tradito loro.


LA FESTA
Gianluca Pagazzi è stato ospite alla serata organizzata dal Panathlon di Pordenone dove, sollecitato anche dai tanti e attenti presenti, ha raccontato la sua storia dove sono emersi due termini che hanno fatto la differenza nella sua vita: determinazione e caparbietà. Solo con quelle due virtù predominati (poi ce ne sono anche altre) si possono raggiungere gli obiettivi che un ragazzino nato 57 anni fa a Barcis, è riuscito a portare a casa. Sin da piccolo - ha raccontato - ha seguito i suoi sogni sino a quando li ha acchiappati. Non è mancata una buona dose di fatica che prosegue anche anche ora che i sogni, una volta presi, vanno coltivati e mantenuti.


LA CORSA
È la passione più faticosa, ma anche quella che libera la mente. Una passionaccia che Gianluca aveva sin da piccolo e che con il passare degli anni, quando è diventato più grandicello, lo ha portato a dribblare i bar del paese che erano diventati il rifugio dei giovani della montagna per scenari decisamente più ampi e spaziosi. Non aveva uno sprint da centometrista e neppure una corsa veloce da mezzo fondista. Così la scelta è stata quasi scontata: le lunghe distanze sono diventate il suo terreno. Ha corso tanto, in salita, sul piano, in discesa, ha rotto il fiato milioni di volte, ha inseguito e superato ostacoli che anche alcuni professionisti fanno difficoltà a raggiungere. Lo hanno visto tutti all'ultima PNthlon lo scorso ottobre, corsa divisa in sei frazioni. Solitamente se ne fa una, "quelli bravi" due. Lui le ha fatte tutte, sei ore di corsa sfilando a fianco di amici, conoscenti e "spingendo" chi faceva fatica. Ma il palmares è ricco e lungo. Ci sono in fila, infatti, 68 maratone, 12 edizioni del Passatore, la 100 chilometri più nota d'Italia dove la fatica è una fedele compagna e si aggiunge anche una partecipazione al Tor des Geants, l'ultratrail più duro al mondo dove si devono scavallare le montagne della Valle d'Aosta. Migliaia i chilometri fatti a piedi (contando anche gli allenamenti), ma decine e decide anche le scarpe che sono servite.


IL LAVORO
Non si vive correndo, o almeno Gianluca Pagazzi ha scelto altro. Già, perché se la corsa è stata una fedelissima accompagnatrice della sua giovinezza, coltivava anche un'altra passione, non certo facile da trovare: quella per il calcestruzzo. Il tutto era nato dalla spiegazioni di due anziani capomastri del paese che lo avevano attratto con i loro racconti. Ha voluto fare l'ingegnere civile con due master all'attivo. Oggi, da libero professionista, lo cercano tante imprese per la sua competenza. Un percorso scolastico e universitario a volte inframmezzato pure da incomprensioni con alcuni insegnanti, ma l'amore per i libri e la determinazione messa negli studi, lontano da casa (si è laureato a Roma Tor Vergata), lo portano diritto alla laurea. Correndo (lo ha fatto anche quando studiava) quando passava sotto i ponti scrutava le infrastrutture e tutti i particolari diventando ancora più esperto. E siamo a due obiettivi centrati.


CAPPELLO CON LA PIUMA
Ed è ancora la determinazione e la storia incredibile dello zio, alpino tornato a casa dopo la prigionia in Russia, che lo fa innamorare del cappello con la piuma. Lui era destinato ad altro, ma ha smosso mari e monti, sino a quando è riuscito ad entrare artigliere di montagna, ufficiale di complemento, della 33ma. Come sognava.


IL PONTE


Di cose ne ha fatte anche tante altre, ma ce ne sono due che ha voluto citare su tutte ai soci del Panathlon. La prima è stata quella di scrive un libro con Carlo Brusadin, "La mia strada è il sogno", la seconda progettare e vedere realizzato il ponte che a Barcis si immaginava da piccino, proprio di fronte al cimitero e che svetta sul lago. I sogni, ovviamente, non sono terminati, ce ne sono altri da tirare fuori dal cassetto, come quello di ritirarsi nuovamente nel suo vecchio paese (oggi vive e Sacile) e vedere ogni giorno quel ponte che sente suo all'alba e al tramonto. Una sicurezza che gli riempie il cuore. Ma per questo c'è ancora tempo, prima ci sono tante altre strade da percorrere. Ancora. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino