L’Osteria senza oste: un posto strano e straordinario, un vecchio casolare in uno dei luoghi più belli del nostra terra veneta, a Valdobbiadene, in cima a Col Vetoraz,...
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Quando ci si affaccia alla staccionata che delimita il cortile davanti all’Osteria, lo sguardo si perde dapprima sul mosaico dei vigneti che non hanno la forzata geometria dei progetti, piuttosto il disordine armonico della natura, a cui la mano dell’uomo in secoli di fatiche e lavoro, ha dato una mano. “L’arte che di Dio è nepote” diceva Dante. Poi lo sguardo deborda oltre le colline, oltre il Montello, e segue il corso del Piave che si allarga via via e si perde in mezzo alla foschia della pianura oppure, nelle belle giornate, fino in fondo, là, dove c’è la laguna.
“Non si vede Venezia.” Mi ha detto un giorno un vecchio di queste parti che ho incontrato all’Osteria. “Si crede di vederla …” Non ho insistito. Io credo di averla vista qualche volta.
Poi ci si gira e si entra nel casolare. Un vecchio casolare, una casa di contadini lasciata così com’era cent’anni fa. Niente bagno, niente doccia, niente fognature. Niente luce, niente quadro elettrico e niente salva vita. Fuori norma. La nostra storia, i contratti chiusi con una stretta di mano, giornate di lavoro offerte a un amico, così, perché è un amico, o un parente. Niente certificati. Niente partite Iva. Com’era cent’anni fa. Tutto fuori norma.
Questa è l’Osteria senza oste c’è del Prosecco di Valdobbiadene, soppresse, pane e formaggio. Dei bicchieri, dei taglieri. Tutto a disposizione di chi vi arriva. Dopo lo stupore iniziale, l’imbarazzo per questa fiducia dell’oste che non c’è. “Ma come?”
Senza controlli, senza scontrini. Tutto sulla fiducia. Una sorpresa, una sfida.
Quando la gente se ne va, la si vede prendere in mano il telefonino e chiamare qualche amico. “Sono in un posto … devi venire a vederlo …”
Questo è l’Osteria senza oste. E tutto questo non rientra nella scatola mentale del fisco. Tutto questo deborda dalle briglie con cui ci hanno, ci siamo, legati.
Se tutto questo, bellezza, storia, lavoro, fiducia, non rientra nelle maglie delle regole che ci hanno, ci siamo, dati, cos’è sbagliato? La bellezza, la storia, il lavoro, la fiducia o le regole?
Tutto dell’Osteria senza oste grida che non possiamo arrenderci a vivere nella paura, del fisco, dei controlli, di una giustizia che è impazzita e non ha più lo scopo di garantire la convivenza sociale, ma un’assurda arbitrarietà condita di moralismo.
Tutto dell’Osteria senza oste sussurra con ironia che è possibile un mondo diverso da quello che ci hanno, ci siamo, dati. E’ forse possibile ancora una convivenza che si fonda sulla fiducia, sulla libertà, sulla dignità del lavoro.
(Lettera aperta di Alberto Raffaelli che sull'Osteria senza oste ha scritto il suo romanzo di esordio) Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino