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Viaggio nell'Osservatorio astronomico sull'Altopiano dove il telescopio Copernico con i suoi 182 centimetri di diametro scruta l'universo. È l'impianto più grande del nostro Paese. «Dai colori dell'arcobaleno riusciamo a definire le caratteristiche di questi corpi celesti per determinare composizione chimica, temperatura, massa e distanza. Tutte notizie preziosissime».
Tra le tante forme di inquinamento ce n'è una che passa inosservata, anzi viene persino considerata utile. È l'inquinamento luminoso. La superficie terrestre è sempre più fasciata di luce, la notte in certe aree non esiste più, cancellata dall'illuminazione artificiale. E non si vedono le stelle. Per capire le conseguenze di questo fenomeno basta salire all'Osservatorio astrofisico di Asiago-Cima Ekar, una delle eccellenze italiane, dove si trova il telescopio Copernico che, con i suoi 182 centimetri di diametro, è il più grande nel nostro Paese.
NATURA & SCIENZA
«Ci stanno rubando il cielo», sintetizza Paolo Ochner, trentino di 46 anni, doppia laurea in Fisica e Astronomia, uno dei quattro astronomi che lavorano in quest'oasi in mezzo al verde dell'Altopiano, dove natura e scienza convivono in un perfetto connubio. Paolo, oltre ad essere impegnato in importanti, ricerche, è responsabile della divulgazione del Polo Astronomico di Asiago. Ha il compito di accompagnare i visitatori. Un Caronte delle stelle. Il suo racconto è affascinante. E parte proprio dalla luce. «Qui ormai ce n'è troppa. Quando nel 1942 è stato costruito il primo telescopio, il Galilei, del diametro di 122 centimetri, la posizione era ideale. Poi l'urbanizzazione e la pessima abitudine di sparare luce verso l'alto ha inquinato quest'area. Ed infatti i successivi due telescopi, lo Schmidt e il Copernico, sono stati collocati a cima Ekar a circa quattro chilometri in linea d'aria da qui, in un luogo più buio».
Il paradosso, sottolinea lo scienziato, è che il Veneto, trent'anni fa, è stata la prima Regione italiana a dotarsi di una legge anti inquinamento luminoso. Ma non viene rispettata, probabilmente non è nemmeno conosciuta. Il buio, per la verità, non serve agli astronomi, ma ai telescopi, «perché le osservazioni vengono gestite dal computer che decide, in base alle condizioni atmosferiche, quando e se aprire la cupola, mentre noi possiamo tranquillamente andare a dormire e al mattino studiare i dati registrati».
IL NEBULIO
Nell'immaginario si pensa che un telescopio funzioni come una gigantesca lente di ingrandimento, in realtà l'osservazione di corpi celesti distanti anni luce, si basa sullo studio dello spettro delle radiazioni elettromagnetiche.
«Scomponiamo la luce nei vari colori dell'arcobaleno per determinare le caratteristiche delle stelle - spiega Ochner - Dai colori si riesce a determinare la composizione chimica, la temperatura, la massa, la distanza e ad ottenere altre preziose informazioni».
GLI ASTROFILI
«I gruppi di astrofili - spiega l'astronomo - sono altamente qualificati e per noi sono di grande aiuto. Ormai sono loro a compiere le scoperte, noi poi le analizziamo e facciamo la classificazione. Negli ultimi anni una dozzina di Nove e Supernove sono state scoperte dai gruppi astrofili di Ponte di Piave, del Monte Baldo e dal bellunese Claudio Balcon. Proprio da Asiago, grazie al professor Ulisse Munari, nel 2005 è partita l'Ans collaboration che riunisce tutti i gruppi astrofili, impegnati in misurazioni astronomiche di alta precisione». L'attività di ricerca dell'Osservatorio, che dipende dall'Università di Padova, è coordinata dal dipartimento di Fisica e Astronomia.
VITA NELLO SPAZIO
Tra tante scoperte, un giorno sarà possibile individuare altre forme di vita? La domanda, per quanto banale, è d'obbligo. «Io sono un astronomo osservativo, giudico con gli elementi che posso conoscere. Allo stato ci sono gli ingredienti per forme di vita primordiali su Marte, Giove e Saturno. Se invece pensiamo a forme di vita come la nostra, la vedo difficile. Non aspettiamoci l'arrivo di extraterrestri con l'astronave, non riuscirebbero mai a passare indenni la pioggia di raggi cosmici. Si potrebbero ipotizzare contatti strumentali con l'invio di segnali da altri mondi. Ma dobbiamo ragionare su dimensioni, in termini di tempo e spazio, inconcepibili. Un segnale, proveniente da un'altra civiltà nell'universo, potrebbe impiegare milioni di anni per raggiungerci. E per assurdo potrebbe arrivare quando la loro, o la nostra, civiltà potrebbero essere già estinte». Rassegnamoci, o tranquillizziamoci, siamo soli.
(vittorio.pierobon@libero.it)
Il Gazzettino