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VITTORIO VENETO (TREVISO) - Sta preparando da mangiare per i due figli e per quel compagno con cui divide lo stesso tetto ma, ormai, è solo il padre dei suoi due ragazzi. Tenta di archiviare la tragedia che l'ha solo sfiorata sabato notte. Ma la paura le resta negli occhi. E nelle mani che, ogni tanto, tremano un po'.
«Ho avuto il terrore di morire. Ero io il bersaglio di Giovanni Maria e fuggendo sono riuscita a salvarmi la vita. Sabato notte l'ho visto parcheggiare accanto al pick-up dove mi trovavo con Luciano Dall'Ava. L'ho visto scendere con il coltello in mano, aprire la portiera. Ho sentito le sue mani che mi strattonavano in modo brutale per il giaccone e mi afferravano con violenza i capelli. Poi, quel coltello da cucina a un centimetro dalla mia faccia. Le nocche delle sue mani bianche e lo sguardo di un pazzo. La voce no, non tradiva emozioni. Era freddo, lucido. Voleva farmi salire a forza sulla sua Fiat Punto. Mi ha sillabato Tu -ora - vieni - via - con -me. Qualcosa dentro di me si è ribellato. Non so dove ho trovato la forza, ma ho afferrato il manico del coltello. È stato a quel punto che ha vibrato il primo fendente, lacerandomi il mignolo della mano sinistra». Il racconto di Joy, la 39enne nigeriana, contesa tra due uomini, procede a salti. A scosse. Come se l'orrore di quella notte le scorresse ancora, e ancora, davanti agli occhi. Tutto si è svolto in pochi istanti di follia. È sabato notte, non sono ancora le 22 in piazza Fiume a San Giacomo di Veglia, una frazione di Vittorio Veneto. Giovanni Maria Cuccato, 44enne operaio di Conegliano, compagno di fatto di Joy da un anno, la sorprende nel pick-up insieme a Luciano Dall'Ava, 72enne di Colle Umberto. Coltello in mano, si scaglia contro la donna strattonandola verso la sua vettura, poi si gira e vibra una serie di fendenti contro Dall'Ava, uno di questi letale alla gola.
SECONDO DOPO SECONDO
«Quando Luciano ha cominciato a urlare, Giovanni Maria mi ha lasciato un attimo, quanto è bastato perché uscissi dalla sua auto. L'ho visto sgozzare Dall'Ava. Ho visto il sangue che usciva dalla gola di Luciano e sono rimasta pietrificata. Ho mosso alcuni passi verso casa, che dista poche decine di metri da quella piazzetta maledetta. Non riuscivo a correre. Mi sono voltata indietro, e ho visto Giovanni Maria che mi stava seguendo, brandendo il coltello insanguinato. Non ricordo se ho urlato, se ho pensato adesso muoio e lascio soli i miei figli. Le gambe hanno cominciato a muoversi da sole. Ho corso, ho corso finché non ho visto le scale di casa, mentre il sangue mi colava dalla mano imbrattando la ringhiera e gli scalini di casa. Ho pregato che la porta fosse aperta, altrimenti sarei morta lì, per terra, come il povero Luciano. Secondo me voleva ucciderci tutti e due». Nella stanza entra suo figlio, il più piccolo. La figlia, invece, non si farà mai vedere. Copre la mano fasciata, dopo la medicazione dell'ospedale di Vittorio Veneto. «Corri di sopra, dai che c'è la pastasciutta» dice al figlio, tentando di dare una parvenza di normalità alla voce. E trattiene le lacrime. Di spavento. Ma anche di rabbia. «Poteva essere l'ennesimo femminicidio. Solo ora sono sicura che volesse uccidermi. Io avevo già tentato di lasciarlo. Era geloso, possessivo. Ma mai avrei pensato che sarebbe arrivato a tanto».
LA PROCURA
Un racconto che collima con l'ipotesi accusatoria formulata dalla Procura del Tribunale di Treviso che ha contestato a Cuccato non solo l'omicidio volontario aggravato di Dall'Ava, ma anche il tentato omicidio della nigeriana.
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Il Gazzettino