ROVIGO - Una scia di sangue, da Roma a Rovigo. L’assassino che nel 2006 decapitò l’ex moglie a Tor Bella Monaca è infatti il responsabile di un cold case...
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La sezione omicidi della squadra mobile della questura capitolina e la polizia scientifica, grazie all’analisi genetica di alcuni mozziconi di sigaretta trovati sulla scena del crimine, erano riusciti a risalire al Dna di Tripodi ed inchiodarlo per l’efferato delitto.
Nonostante l’assassino si fosse sempre dichiarato innocente, il processo si concluse con la condanna all’ergastolo. Un mese fa, Tripodi è morto in cella per cause naturali e, come da prassi, il suo profilo genetico è stato prelevato ed inserito nella banca dati della polizia criminale che dal 2016 contiene i profili di tutti gli arrestati per qualsiasi crimine. «Una pratica ancora inusuale nel 2006 - racconta il genetista forense Enrico Maria Pagnotta - quando il Dna di Tripodi venne confrontato solo con i reperti dell’omicidio di Tor Bella Monaca».
La procura di Rovigo ha aperto un fascicolo d’indagine, delegate ai carabinieri per ricostruire il massacro in cui morirono madre e figlia e dove viene collocato anche temporalmente, oltre che il suo Dna è stato trovato sugli abiti delle due donne il camionista Gaetano Tripodi all’epoca adepto di una setta satanica. Il duplice delitto avvenne nel chiosco sulla spiaggia gestito da Cristina e Elisea che vennero assassinate a sprangate in testa. «Quando lo incontrai in carcere per concordare la difesa per l’omicidio dell’ex consorte - racconta l’avvocato Giacomo Marini - era un uomo tranquillo, apparentemente incapace di tanta violenza». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino