Omicidio a Fiera, indagini chiuse: 12 persone sotto accusa. «Tutto fa pensare che fosse un'azione studiata per uccidere»

Oltre ad Afrim Manxhuka e Valmir Gashi, la Procura contesta ad altri dieci il concorso nel delitto del 52enne Ragip Kolgeci

I rilievi
TREVISO - Dopo 9 mesi esatti dal delitto, la Procura di Treviso ha chiuso il cerchio sull’omicidio di Ragip Kolgeci, il 52enne kosovaro massacrato lo scorso 12 ottobre nel...

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TREVISO - Dopo 9 mesi esatti dal delitto, la Procura di Treviso ha chiuso il cerchio sull’omicidio di Ragip Kolgeci, il 52enne kosovaro massacrato lo scorso 12 ottobre nel piazzale davanti al bar La Musa di viale IV Novembre. Per quella spedizione punitiva sfociata nel sangue gli inquirenti hanno intenzione di portare davanti ai giudici 12 persone, accusate a vario titolo di omicidio volontario in concorso, due tentati omicidi, lesioni personali aggravate e minacce. Oltre ai due presunti killer, ovvero il 50enne kosovaro Afrim Manxhuka e il nipote 31enne Valmir Gashi (gli unici due arrestati dopo il delitto che ora si trovano entrambi ai domiciliari, ndr), l’avviso di chiusura indagini è stato notificato ad altri dieci componenti della spedizione punitiva contro Kolgeci (i tentati omicidi riguardano il figlio Kastiot e il nipote Clirim).

I nomi

La banda che secondo la Procura di Treviso ha massacrato Ragip Kolgeci, e impedito ai suoi familiari e amici di intervenire anche dietro la minaccia di una pistola, sono i kosovari Basim Manhxuca (alias Besim Morina), 54enne senza fissa dimora in Italia, Leonard Gashi, 34enne residente a Treviso, Bardhyl Gashi, 25enne residente a Treviso, Bedri Jakupi, 36enne senza fissa dimora in Italia, Amir Durguti, 21enne residente a Treviso, e Labinot Sedju, 22enne senza fissa dimora in Italia, gli albanesi Sander Gjergji, 54enne residente a Pieve Emanuele in provincia di Milano, Martin Gjergji, 35enne senza fissa dimora in Italia, e Fiqiret Mishi, 28enne senza fissa dimora in Italia, e il macedone arlind Djambazoski, 34enne senza fissa dimora in Italia. Proprio il fatto che molti degli indagati abitino nei rispettivi paesi di provenienza indica, secondo gli inquirenti, che la rissa scoppiata in viale IV Novembre sia stata un’azione studiata a tavolino per uccidere. Nel capo d’imputazione si legge infatti che sono state utilizzate mazze ferrate, coltelli e bastoni, nonché una pistola per minacciare chi tentava frapporsi al pestaggio.

Il movente

La vicenda trova il suo inizio nella pretesa di pagamento di 500 euro per dei lavori edili che Kastriot Kolgeci aveva avanzato nei confronti di Labinot Sedju, protetto sia di Afrim Manxhuka che di Valmir Gashi. Ma le vere ragioni del delitto affonderebbero addirittura in un “debito d’onore” contratto dalla vittima quando ancora abitava in Kosovo. Cosa che spiegherebbe la violenza con cui le due fazioni si sono affrontate. Per questo si parla di esecuzione, e per questo viene tirato in ballo il kanun (una legge albanese non scritta ma canonizzata che regola, appunto, le questioni d’onore tra le famiglie) tra le cui regole prevede infatti che sia il “creditore” a dover consumare la vendetta sul “debitore”, senza tirare in mezzo terzi. Di certo c’è che Ragip kolgeci, come scrive il sostituto procuratore Valeria Peruzzo, è morto per «choc emorragico conseguente a ferita penetrante con lesione della vena femorale e trauma cranico con sfondamento della volta». Esito a cui era giunta l’autopsia svolta dal medico legale Alberto Furlanetto che indicava, però, come ferita che ha provocato la morte quella inferta da Manxhuka con un coltello all’inguine del 52enne, e non quella provocata alla con una mazza ferrata da Gashi. 

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Il Gazzettino