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ALANO DI PIAVE (BELLUNO) Colpo di scena nell’indagine per l’omicidio di Fener, avvenuto lo scorso fine settimana al confine tra le province di Belluno e Treviso, in comune di Alano di Piave. Quella notte a margine di una festa al locale Kangur, nella stazione di Fener, che richiama ogni fine settimana tanti appassionati di danze latinoamericane, morì Antonio Costa, il 53enne originario del Trevigiano, ma residente ad Alano. L’uomo venne ucciso con un fendente al petto, inferto con il suo stesso coltello, che aveva estratto per difendersi. Per quella morte è in cella un cittadino dominicano, ma per gli inquirenti anche un connazionale avrebbe collaborato: si tratta di Junior Cedano Sanchez, 42enne residente a Belluno, difeso dagli avvocati Mauro Gasperin e Monica Azzalini, indagato a piede libero. La Procura ipotizza per lui il concorso in omicidio con l’altro nome finito nell’inchiesta, il 46enne di origine dominicana Pedro Livert Dominguez Sanchez, di Fener, attualmente in carcere a Baldenich, difeso dall’avvocato Giorgio Gasperin.
L’AVVISO
Che l’inchiesta si stesse allargando era nell’aria dopo che c’era stato il rinvio della data dell’autopsia sul corpo di Antonio Costa, fissata inizialmente per venerdì, poi slittata a lunedì.
LE INDAGINI
Ma sarebbero pochissimi gli elementi contro il secondo indagato, tanto che anche i riscontri sugli abiti che gli erano stati sequestrati hanno dato esito negativo. Il 41enne è il padre del ragazzo fidanzato con la giovane donna che sarebbe finita nel mirino di Costa quella sera. Come aveva spiegato la Procura nell’unica nota diffusa sul caso la lite sarebbe scoppiata dopo «un presunto comportamento sconveniente posto in essere dalla vittima ai danni di una giovane donna».
LA RICOSTRUZIONE
Quella sera, la notte tra sabato 6 e domenica 7 maggio, c’era una festa con una sessantina di persone nel locale di Fener ed erano tutti piuttosto alterati. Nella sala quasi esclusivamente persone della comunità dominicana. Il Costa avrebbe iniziato a dare fastidio con insistenza a quella giovane ragazza, qualcuno dice addirittura palpeggiandola. Sarebbe nata la discussione. Lui avrebbe estratto il coltello, che portava in giro come un trofeo e che spiegava di usare per sua «sicurezza». Lo aveva utilizzato qualche giorno prima in un vagone di un treno: «Lo ho estratto e mostrato ad alcuni marocchini che mi davano fastidio e sono fuggiti», aveva raccontato agli amici in paese. Ma questa volta mostrando l’arma firma la sua condanna a morte: all’esterno del bar nasce una colluttazione e viene colpito. «L’ho disarmato e spinto via ma non volevo ucciderlo», ha raccontato al gip Pedro Livert Dominguez Sanchez nell’udienza di convalida rimarcando la non volontarietà di quanto accaduto. Ora si attende la svolta cruciale dall’autopsia di lunedì in cui emergeranno ulteriori particolari. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino