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ROVIGO - Un processo con aspetti particolari quello che si è chiuso ieri con la condanna a 21 anni nei confronti di Annalisa Guarnieri, che di anni ne ha 27, fidanzata dell'allora 17enne Patrick, che la sera del 4 febbraio di un anno fa, a Sant'Apollinare, ha brandito un machete contro il padre Edis Cavazza, uccidendolo.
Innanzitutto, chi è accusato di aver materialmente vibrato il fendente mortale non si trovava a processo insieme a lei, perché essendo ancora minore all'epoca del fatto, sarà giudicato dal Tribunale per i minori di Venezia. Questo ha fatto sì che il processo si sia quindi incentrato non tanto sul fatto in sé, ma sulla sua genesi e sul ruolo giocato dalla 27enne, nata ad Adria e formalmente residente a Trieste, dove vive la madre e dove per un breve periodo si era trasferita anche lei, proprio insieme a Patrick. Il fatto che nella sentenza non sia stata riconosciuta la premeditazione è un passaggio importante per la difesa.
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Tuttavia, la pesante condanna conferma comunque la linea dell'accusa, non a caso il pm Maria Giulia Rizzo aveva chiesto esattamente una pena di 21 anni, secondo la quale la ragazza avrebbe in qualche modo spinto il fidanzato a una sorta di resa dei conti con il padre. Nell'ordinanza di convalida del fermo della Guarnieri, firmata dal giudice per le indagini preliminari Raffaele Belvederi, la giovane era stata definita come una «fredda e spietata calcolatrice», che dopo aver acquistato il 26 gennaio in una tabaccheria di Adria i due machete, uno dei quali divenuto l'arma del delitto, avrebbe spalleggiato il fidanzato nell'uccisione del padre, forse addirittura spronandolo a sterminare l'intera famiglia.
LA DIFESA
Una linea contro la quale, fin da subito, ha impostato la propria difesa l'avvocato Sandra Passadore. «Annalisa ha una semplicità che sconfina nell'immaturità, non è certo la persona fredda e spietata che sembra emergere dalla lettura dei fatti che dà la Procura e che il gip sembra avallare», aveva sottolineato nelle primissime fasi preliminari.
RAGAZZA FRAGILE
Un aspetto, ha sottolineato, avvalorato dalla testimonianza della madre di lei, che avrebbe descritto la figlia, che ha sempre avuto bisogno dell'insegnante di sostegno nel proprio percorso scolastico, come una ragazza che non brillava per acume. Quindi, questa la conclusione difensiva, non certo una fredda e spietata calcolatrice in grado di influenzare un ragazzo già uomo come Patrick, che seppur 17enne aveva già vissuto esperienze durissime. Anche il contesto in cui tutto è avvenuto, inevitabilmente ha avuto un proprio peso. E anche su questo la difesa ha cercato di porre l'accento. I rapporti conflittuali fra padre e figlio si sono innestati in una situazione già difficile, in un quadro di pesante marginalità: «La storia di questa famiglia è agli atti, è una storia di violenza familiare del padre in alterazione alcolica nei confronti della madre e dei figli. Un ambiente degradato, i racconti che vengono fatti sono drammatici, manca il cibo, manca l'igiene, manca tutto. Nei messaggi che il padre manda al figlio, c'è la misura di una sfida. Patrick si illude di aver trovato con Annalisa uno spiraglio per affrancarsi da questa vita».
Tuttavia, a rendere difficile la posizione della ragazza, alcuni dei messaggi che lei stessa ha inviato al fidanzato. Come quello in cui dice che doveva picchiare il padre perché l'aveva offesa o come quello in cui dice che avrebbe dato fuoco «a tutta la carovana», sui quali inevitabilmente si è incentrata l'accusa. Senza contare l'acquisto dei due machete, nove giorni prima dell'omicidio.
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Il Gazzettino