Olimpiadi di Helsinki. Quello scontro memorabile tra Italia e Jugoslavia (e poi tutti contro gli Usa) e i quattro amici d'infanzia rivali nello sport

Agostino Tino Straulino e Nicolo' Rode
Alle Olimpiadi di Helsinki nel 1952, nella gara di vela classe Star, si fronteggiano gli equipaggi di Italia e Jugoslavia ma entrambi sono composti da quattro amici...

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Alle Olimpiadi di Helsinki nel 1952, nella gara di vela classe Star, si fronteggiano gli equipaggi di Italia e Jugoslavia ma entrambi sono composti da quattro amici d'infanzia, tutti originari di Lussino: obiettivo comune battere i temibili americani. E così avviene: gli azzurri Straulino e Rode surclassano tutti grazie ad un aiutino del duo Fafangel-Basic.


STORIE DI SPORT


Mai nella storia dello sport è avvenuto un fatto del genere: contendenti di due paesi diversi che provengono dallo stesso posto, che sono amici d'infanzia, che si aiutano gli uni con gli altri per vincere l'oro. Tutto questo è accaduto il 28 luglio 1952, nella XV Olimpiade, a Helsinki, in Finlandia, nella finale di vela classe Star. Ne sono stati protagonisti gli equipaggi italiano Tino Straulino-Nico Rode e quello jugoslavo Mario Fafangel-Carlo Basic, tutti e quattro originari dell'isola di Lussino (oggi Losinj, in Croazia). Gli jugoslavi, che non avevano nulla da perdere, hanno dato acqua agli italiani nell'ultima e decisiva regata, chi conosce qualcosa della vela, sa che in regata non si fa mai passare nessuno, fosse pure un figlio o un fratello. E ora giù il cappello e ascoltate questa storia di uomini, di mare, di amicizia, di guerra e di sport. 


I PROTAGONISTI

Gli ultimi due protagonisti sono scomparsi nel 2004 (Tino Straulino, a Roma) e nel 2007 (Mario Fafangel, a Capodistria). La storia non può che cominciare a Lussino, la madre di tutti i velisti, dove i nostri protagonisti nascono sudditi austroungarici (Straulino e Fafangel erano coetanei, classe 1914, gli altri due un po' più vecchi). I ragazzini lussignani invece di giocare a pallone, vanno in barca, con la passera lussignana, tipica dell'isola. Lussinpiccolo è patria di armatori grandi e piccoli (i Cosulich vengono da là, tanto per citare un nome che ancora conta qualcosa nella navigazione) e di cantieri. Cantieri che, per farsi pubblicità, producono ognuno una passera e ogni anno organizzano una regata, seguita neanche fosse una finale di calcio. Chi vince quella regata si copre di gloria, diventa per un anno l'idolo della città. «Lussino è fatta apposta per fare le gare», raccontava Straulino, «è difficile, però è divertente e si imparano a conoscere il vento, il mare, le raffiche sia forti, sia deboli dove provengano. Il golfo è delizioso, è un'ottima scuola, è una delle zone più adatte per imparare, non manca nemmeno la bora». Tino sarebbe Agostino, ma nessuno lo chiamava col nome intero finisce le superiori e il padre gli fa un regalo di maturità d'eccezione: una barca e il permesso di andarsene per un anno a zonzo sul mare di Dalmazia.


LE BIOGRAFIE

Straulino diventa così un marinaio come nessun altro, stabilisce un rapporto col mare quasi fisico, come sottolinea chi se le ricorda in regata. E, da comandante del Vespucci, il veliero della Marina Militare, osa l'inosabile: nell'estate 1965 esce alla vela dal Canale navigabile di Taranto (non senza segnalare un'avaria alle macchine, perché la manovra è proibitissima). L'isola di Lussino, finita la Prima guerra mondiale, era stata annessa all'Italia. Fafangel, di famiglia povera, va a lavorare in cantiere fin dall'età di dodici anni, più tardi sposerà la sorella di Basic. Straulino e Rode provengono da famiglie borghesi, si arruolano in Marina. Straulino frequenta l'Accademia per diventare ufficiale. Una volta a Livorno, al momento di formare gli equipaggi per una regata, un istruttore chiede: «Chi è di Lussino?»; sa che la provenienza è garanzia di essere in grado di andare a vela. Straulino fa un passo avanti. Sale in barca e non ne scenderà più. Farà la guerra negli incursori di Marina, parteciperà a due attacchi a Gibilterra e al danneggiamento di cinque unità britanniche. Poi, con la fine della Seconda guerra mondiale, Lussino passa alla Jugoslavia. Fafangel e Basic hanno in tasca il passaporto jugoslavo, Straulino e Rode quello italiano.


I GIOCHI

Ed eccoci a Helsinki 1952. La Merope, barca italiana, è tra le favorite, invece la Primorka, barca jugoslava, gareggia per l'onore della bandiera. L'Italia sta risollevandosi dalla guerra, la Jugoslavia è da poco uscita dal Cominform (1948), è stata abbandonata da Stalin e ancora non gode dei finanziamenti americani. Ricordava Fafangel: «Eravamo poverissimi, avevamo una barca molto mal messa e anziché partecipare alla sfilata di apertura delle Olimpiadi le siamo rimasti attorno per cercare di metterla a posto». La regata decisiva è l'ultima, cioè la settima: gli americani superfavoriti, inventori della classe Star, campioni olimpici uscenti sono in testa alla classifica. Gli italiani per vincere hanno bisogno di due cose: arrivare primi e che gli americani si piazzino oltre il terzo posto. Andrà così, anche perché i lussignani con bandiera jugoslava daranno acqua ai lussignani con bandiera italiana. «Io faccio una partenza fantastica», ricordava Fafangel, «Tino era sottovento e non poteva passare. Intanto stava arrivando l'americano. Allora mi ha gridato: Mario, vira, vira. Io ho virato e l'ho lasciato passare. Gli ho fatto un favore, ma non avevo nessun interesse a non farlo passare. E poi siamo tutti quanti lussignani».


LA VITTORIA

Straulino dava della vicenda una versione più compassata (d'altra parte era ammiraglio della Marina militare, uno dei migliori che mai ci siano stati), ma sostanzialmente confermava: «Sì, ci siamo dati una mano fra lussignani, fermo restando che c'era una differenza enorme tra Fafangel e noi. Noi quel giorno avevamo messo una vela particolare che rendeva moltissimo e andavamo come lepri. Però arrivati a quel punto, ci siamo guardati negli occhi, lui ha virato di bordo e ci ha fatti passare». Gli americani terminano la regata ottavi. L'oro va all'Italia, l'argento agli Usa, il bronzo al Portogallo. Paolo Monelli assiste alla regata da bordo della nave-appoggio Proteo della Marina italiana, e scrive nella Stampa del 29 luglio: «Quando la Merope fu riconosciuta, vedemmo che era avanti a tutti gli scafi della sua categoria, e di molto; girò perfettamente la boa, la vela passò, filò via, raccolta e inclinata col vento di fianco verso la nuova direzione; e ci vollero alcuni minuti prima che giungesse alla boa il secondo concorrente». 


L'ENTUSIASMO

Così Ciro Verrati nel Corriere della sera: «Dopo sette giorni di gare alterne il grande duello italoamericano si è concluso con la vittoria azzurra e la Merope ha battuto la Comanche. Straulino poi ha delle virtù quasi miracolose di attrezzatore. È l'uomo che prende una vecchia barca il disarmo, la porta al largo, monta la vela e ne tira fuori un gioiello di equilibrio e di armonia» (una cosa del genere era realmente accaduta in una regata a Napoli). Lo stesso giorno, nella Gazzetta dello Sport, Gianni Brera si lascia andare da par suo: «Dal loro buon sangue di dalmati il capitano di vascello Straulino e il tenente di vascello Rode hanno tratto l'estro per questa impresa che ha veramente del miracoloso». Il ritratto più bello di Straulino, lo abbozzava però il suo amico Fafangel: «Tino è uno dei più grandi e più bravi velisti che ha fatto la madre lussignana. Abbiamo corso insieme, abbiamo vinto, abbiamo perso; la baia di Lussino era sempre piena di vele. Straulino per me è uno dei migliori».

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Il Gazzettino