Studi a Padova, lavoro a Rovigo e poi a combattere per la sua Ucraina: Oleh muore a 32 anni

Lo piange la sua famiglia, che ora vive in provincia di Vicenza

Aleksey morto a 32 anni
PADOVA - Era nato 32 anni fa nell’ospedale pediatrico di Mariupol, proprio quello brutalmente bombardato l’anno scorso dall’esercito russo. Il cerchio del...

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PADOVA - Era nato 32 anni fa nell’ospedale pediatrico di Mariupol, proprio quello brutalmente bombardato l’anno scorso dall’esercito russo. Il cerchio del destino si è chiuso nel modo più terribile per Oleh "Aleksey" Dozydenko, ucraino di nascita, ma padovano per 15 anni, ucciso da un colpo di mortaio nella città di Bahmut mentre trasportava altri feriti con un’auto blindata. Lo piange la sua famiglia, che ora vive in provincia di Vicenza, ma lo ricordano commossi anche tanti amici lasciati a Padova, gli ex compagni di calcio del Vigodarzere e gli ultimi colleghi di Rovigo


Sei mesi fa Oleh aveva deciso di lasciare temporaneamente il Veneto perché sentiva forte il richiamo della propria Patria e il dovere di difenderla dal nemico Putin. Ha perso la vita nei giorni scorsi e oggi sarà il celebrato il funerale nella città di Černivci. La mamma è partita da Arsiero e ha raggiunto subito l’Ucraina mentre i tre fratelli sono rimasti in Italia, altrimenti avrebbero rischiato di essere arruolati senza poter più tornare indietro. 

LA VITA PADOVANA
Oleh (chiamato Aleksey da tanti amici italiani) era arrivato a Padova nel 2004 per raggiungere la madre che già viveva qui lavorando nella clinica Villa Maria. Aveva abitato a lungo in piazza De Gasperi, aveva studiato elettricità all’istituto superiore Marconi e si era creato un’importante rete padovana di amici. Poi, poco prima dell’avvento della pandemia, si era trasferito a Rovigo per lavorare in un magazzino Amazon. La scorsa estate la decisione di partire con la volontà di tornare in Italia una volta onorato il proprio senso patriottico. Per abbracciare ancora una volta la mamma, i tre fratelli e la sorella. 

IL RICORDO
«Avrebbe voluto partire per la guerra già prima perché sentiva forte questo desiderio. Non lo ha fatto perché aveva dei finanziamenti e delle altre cose da chiudere qui in Italia. Una volta sistemato tutto ha deciso di partire senza pensarci due volte - ricorda il fratello Andriy -. Si era arruolato nel commissariato dell’ultima sua residenza in ucraina, quindi nella città di Černivci. Lo sentivamo di continuo: ogni giorno ci raccontava come andava e cosa provava. Noi dall’Italia gli mandavano pacchi con il cibo e altri prodotto utili». 
«Voleva difendere la patria, quello era il suo unico scopo - continua emozionato nel racconto il fratello -. Aveva fatto una prima fase di addestramento in Spagna, poi lo avevano spostato a fare la guardia alla dogana bielorussia e da lì poi si era nuovamente spostato arrivando a Bahmut per trasportare feriti e attrezzi con l’auto blindata». 

I MESSAGGI
Il massacro di Bahmut non lo ha risparmiato. «Oleh è stato colpito da un mortaio in piena notte. Purtroppo sapevamo che avrebbe potuto accadere perché lui ci diceva sempre che la situazione era brutta e pericolosa. Raccontava che continuava a morire tanta gente, però ci teneva tanto a rimanere lì. Con lui combattevano anche due cugini e altri amici». 
«Io ho iniziato a preoccuparmi quando ho visto che non aveva più fatto accesso a Whatsapp - prosegue -. Due giorni dopo il suo comandante ha chiamato mia mamma per avvisarla della tragedia. Al funerale ci saranno lei e mio papà, che è in pensione ed era già in Ucraina. Io invece preferisco non andare, ma magari riusciremo a fare una bella cena con gli amici e un bel saluto anche a Padova. Non ci abbiamo ancora pensato perché siamo distrutti».

I COMPAGNI
Intanto, in attesa dell’ultimo saluto padovano, restano i ricordi. «Era un bravo ragazzo, gli piaceva giocare a calcio e a scacchi. Amava anche uscire la sera nei locali. E già prima della guerra parlava sempre della Russia e di Putin» racconta un’amica evidenziato quanto Oleh sentisse dentro quella missione. 
I compagni di squadra ricordando invece le tante partite a calcio e calcetto cercando di imitare il suo idolo ucraino d’infanzia, l’ex milanista Shevchenko. 
L’Asd Vigodarzere ha osservato un minuto di silenzio e lo ha ricordato così su Facebook: «Alek qualche anno fa indossò  i colori gialloblu del Cp Vigodarzere. I percorsi di vita hanno diviso le strade, ma in un modo o nell’altro, i contatti si sono sempre mantenuti. Questo siamo: una famiglia, in cui, qualche volta, come in ogni situazione della vita, qualcosa non va come si vuole, ma il gioco, il divertimento e importanti valori ci tengono uniti. Anche a distanza di tempo. La follia umana della guerra ha portato via un ragazzo e ci ha tolto un componente della nostra famiglia. Sappiamo che, anche se non sarà a vederci a Terraglione, anche se per telefono non riusciremo a contattarlo, Alek starà tifando per la banda Gialloblu. Riposa in pace Alek!». 
Il campionato Csi Padova ha promosso, «con un nodo alla gola», un minuto di silenzio. Ma chi gli voleva bene continuerà a sentire il maledetto suono di quel mortaio fatale.

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Il Gazzettino