Nordest, ecco la mappa delle zone a rischio sismico in Veneto e Fvg

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TRIESTE - Le carte sismiche parlano chiaro: è molto vasta a Nordest l’area che per caratteristiche geologiche e natura dei terreni è maggiormente esposta non...

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TRIESTE - Le carte sismiche parlano chiaro: è molto vasta a Nordest l’area che per caratteristiche geologiche e natura dei terreni è maggiormente esposta non soltanto a terremoti significativi, ma anche a più importanti danni, a causa della natura dei terreni. E se è il cuore del sisma friulano del 1976 ad evidenziare, su base storica, la maggiore frequenza di eventi, in realtà le probabilità maggiori insistono ora sulle aree a Est e Ovest, ossia dove non si è ancora “liberata” una così marcata quantità di energia: parliamo della Slovenia, delle Alpi e Prealpi Giulie, della pedemontana friulana e di quella pordenonese più che delle vallate alpine in sé. E poi, più a occidente, la zona di Vittorio Veneto fino all’Altopiano di Asiago.

Quando gli chiediamo se queste mappe siano previsioni grafiche vere e proprie, Alessandro Rebez sorride: «Il terremoto è un po’ come l’infarto, se hai il colesterolo e la pressione alti, diventa più probabile. Tuttavia non sai mai quando e come». Rebez, sismologo dell’Ogs - Istituto nazionale di oceanografia e geofisica di Trieste, è uno dei padri della mappa nazionale di pericolosità sismica. In questi giorni è spesso impegnato in vertici tecnico-scientifici a seguito del terremoto in Centro-Italia. È lui a firmare anche le mappe di pericolosità sismiche dell’Ogs, nell’ambito di uno studio compiuto con i colleghi Dario Sleiko e Marco Santulin.
In realtà, come non si stanca di ripetere, il “discorso” geologico è il medesimo: «La Penisola italiana si trova nel mezzo fra la placca africana che spinge a Nord e quella Europea», chiarisce. «Adesso come nel ‘78 in Friuli, la placca meridionale spinge e tende a infilarsi sotto quella europea. Quando in alcuni punti ci riesce, ecco che avvengono le scosse più forti».


(Fonte: Ogs - Istituto nazionale di Oceanografia e geofisica di Trieste)

Tale processo geologico «spiega anche la sismicità ai piedi delle Alpi, che devono la loro esistenza proprio a questo fenomeno di spinta», spiega Rebez. Una condizione simile a quella della catena himalayana.
Vero è che gli studi più recenti hanno rivelato una continuità di fenomeni già registrati dal Golfo del Quarnero fino all’Alto Friuli, tuttavia il sismologo insiste soprattutto sulla natura dei terreni: «Dove c’è roccia è migliore il livello di elasticità di fronte alle sollecitazioni del terremoto - spiega - mentre la situazione diventa difficile con i terreni “molli”.
Ma se la fascia di pericolosità, mappa alla mano, comprende una larga parte del Friuli e una porzione importante del Veneto, quali sono le difese che sia possibile mettere in campo? «Si sa, la costruzione con criteri antisismici - è la replica di primo acchito dell’esperto di terremoti - tuttavia l’azione in realtà più importante è mettere in sicurezza il patrimonio esistente. «Anche adesso, in Umbria e nelle Marche, osserviamo che le vecchie case dotate di tiranti hanno saputo resistere abbastanza bene», certifica Rebez. «L’importante è che la casa non crolli addosso alle persone, anche se di fronte a una scossa particolarmente forte è probabile che subisca comunque dei danni». I tiranti «devono tenere insieme la casa e i solai - prosegue - ma è anche importante dotare le facciate di reti metalliche elettrosaldate, poiché in caso di terremoti impediscono alle pareti di “spanciarsi” e crollare».

E siccome «ora il Governo fa i conti con i costi elevatissimi della ricostruzione», il sismologo ricorda che «adeguare una vecchia casa in fondo non costa tanto e salva la vita». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino