Il primario Panese: «I no vax? Quando arrivano in ospedale poi si ricredono»

Sandro Panese, il direttore delle Malattie infettive dell’Ulss 3 Serenissima,
VENEZIA - Sandro Panese è il direttore delle Malattie infettive dell’Ulss 3 Serenissima, reparti in prima linea nella lotta alla pandemia. ...

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VENEZIA - Sandro Panese è il direttore delle Malattie infettive dell’Ulss 3 Serenissima, reparti in prima linea nella lotta alla pandemia.

Primario, chi è che oggi finisce in ospedale per il covid?  

«I dati sono chiari. Sono prevalentemente pazienti non vaccinati. Che, come tali, sono più vulnerabili al contagio e al rischio di sviluppare la malattia».

Ma chi sono i no vax?

«Tra chi si è contagiato ed è arrivato alla nostra attenzione, ho incontrato tante persone confuse, disorientate, disinformate. Per certi versi generano compassione…».

Ha conosciuto no-vax che dopo il ricovero ci hanno ripensato? 

«Quando si trovano di fronte alla malattia conclamata, comprendono e si ricredono. Qualcuno, quando ne è fuori, mi confessa che se tornasse indietro si vaccinerebbe prima. Viceversa, direi di non aver mai conosciuto dei contrari al vaccino irriducibili».

Come cambia la vita di queste persone?  

«Naturalmente quando arriva la guarigione, prima di tutto per loro c’è un enorme sollievo. Questa malattia fa paura, tanta. E ce la manifestano. Ai nostri pazienti raccomandiamo la fiducia e la speranza di superare i momenti più duri. È come se attraversassero un tunnel, ma la luce in fondo può arrivare…».

Molti negativizzati, che hanno sconfitto il virus, però si trascinano problemi di salute.

«Succede, purtroppo. Il recupero può essere lento, con un decorso anche di diversi mesi. Parliamo di una polmonite interstiziale, una malattia importante, che può richiedere una riabilitazione lunga».

Tra tutti i malati, c’è qualche caso che le è rimasto più impresso?

«La storia bella di un giovane mestrino che, all’inizio dell’estate, si è ammalato di una forma clinicamente significativa, ma è guarito e ha potuto sostenere la discussione della sua tesi di laurea da remoto, attraverso il computer, dalla sua stanza dell’ospedale».

Le scuole sono ripartite da due settimane e i numeri dei contagi sono contenuti.

«Significa che il vaccino funziona. La situazione di quest’anno non è molto diversa dallo scorso, quando uscivamo dal lockdown e l’estate aveva favorito il miglioramento, prima di una certa ripresa dei contagi con un nuovo picco epidemico. Quest’anno, però, il ritorno del virus si scontra con la base vaccinale. Il virus non “passa” come l’anno scorso. Siamo moderatamente ottimisti per l’autunno e l’inverno».

Ci sono persone che in via assoluta non vogliono vaccinarsi e, di fronte all’obbligo di Green pass, preferiscono fare continuativamente i tamponi per avere il certificato che dura 48 ore: c’è chi se li è prenotati in farmacia fino a dicembre…

«Questo denota il parziale fallimento della corretta informazione sul vaccino. Tutti dovremmo chiederci cosa potremmo fare di più e meglio, per convincere queste persone. È anche vero che contro certe forme ideologiche nulla si riesce…».

Nell’Ulss 3 la copertura media della popolazione è del 72%, circa 3 cittadini su 4. Tuttavia, nella fascia di mezzo, dei cinquantenni, resta una fetta di refrattari: cosa si può fare?

«Rinnoviamo loro l’appello a vaccinarsi. Sono le persone che lavorano, girano, frequentano la società. Poi magari la sera vanno a salutare i genitori anziani e portano loro il virus. Non dobbiamo dimenticare che il rischio di malattia severa non è bassissimo».

Intanto è partita la campagna delle terze dosi, ma non sono pochi quelli che non rispondono alla chiamata dell’azienda sanitaria.

«La sfida è raggiungere più persone possibili, che compiano questo ulteriore passo. Per vincere questa pandemia non c’è una sola via d’uscita, ma una strategia, che ha il suo elemento cardine nel vaccino. Anche la cura con gli anticorpi monoclonali è molto importante. Il punto è che bisogna evitare in tutti i modi di ammalarsi gravemente, perché non esistono terapie miracolose quando la situazione diventa grave…».

Come valuta il caso del 57enne morto dopo essersi scoperto positivo al covid il giorno stesso della prima dose?

«Non entro nel caso specifico. Probabilmente il virus era stato contratto prima. Il vaccino ha bisogno di un certo numero di giorni per sviluppare la risposta immunitaria e per dare la necessaria protezione».

C’è poi quello del 70enne deceduto nonostante avesse ricevuto anche il richiamo.

«Anche in questo caso non parlo della singola persona. In generale va sempre ricordato che non c’è nessun vaccino al mondo che protegga al 100%. C’è sempre una quota di pazienti che possono infettarsi di nuovo. E, purtroppo, anche morire. Pochi casi, ma ci sono».

Qualcuno si chiede se non sia opportuno fare dei test per verificare gli anticorpi a stretto giro dall’inoculazione del vaccino.

«Al momento non c’è niente di disponibile. Anche il conteggio effettuato con il sierologico non può essere considerato sicuro. È un fronte di discussione aperto e importante. Il vaccino non impedisce eventuali contagi, ma si sta dimostrando indispensabile per evitare di finire su un letto della rianimazione». ​

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Il Gazzettino