La dottoressa Marta, la mamma dei bambini malati di tumore

Marta Verna
Caterina non esiste, è quella figlia attesa, desiderata, immaginata, ma che non arriva nonostante l’amore e la medicina. Ci sono però moltissime altre...

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Caterina non esiste, è quella figlia attesa, desiderata, immaginata, ma che non arriva nonostante l’amore e la medicina. Ci sono però moltissime altre Caterina, sono tutti quei bambini che ogni giorno lottano per vivere nel reparto di ematologia e oncologia pediatrica dell’ospedale dove Marta Verna lavora. La procreazione assistita e il suo fallimento, la cura dei bambini malati, la guarigione ma anche la morte infantile: sono questi i due argomenti che Marta, 38enne medico trevigiano, ha deciso di affrontare nel memoir "Nessuno esca piangendo" (Utet), un racconto tanto delicato quanto complesso del suo quotidiano.


E’ difficile immaginare che una donna così minuta e magra abbia la forza di sostenere il peso di un lavoro che la costringe a fare i conti ogni giorno con la possibilità di perdere un figlio, soprattutto alla luce del fatto che lei, un figlio, lo avrebbe sempre voluto insieme al marito Fabio, ma non è riuscita ad averlo, nonostante cinque tentativi di fecondazione assistita. E questo negli anni ha tenuto viva la speranza ma anche incrinato la felicità della coppia.
L’esorcismo, per Marta, è stato quello di sedersi davanti al pc e raccontare tutto ciò che stava accadendo. Ma è riuscita a fare molto di più: ha creato una piccola perla, scritta con sapienza e semplicità, spesso con ironia, capace di commuovere ma senza far leva sulle banali corde dell’emotività. Sarà forse per questo che il libro sta diventando un piccolo caso editoriale, basti pensare che, appena uscito, ha salito la classifica delle nuove proposte di Amazon senza beneficiare del tam tam pubblicitario e che nelle presentazioni riesce a chiamare a raccolta un numero impressionante di persone.

Marta sa bene come è arrivata alla scrittura, che non è il suo mestiere, ci tiene a precisare: «Ho iniziato perché avevo qualcosa da dire con urgenza. Perché ho sofferto». Il secondo passo è stato «metterci la faccia», non nascondersi dietro uno pseudonimo. E poi bisognava fare i conti con le otto famiglie, quelle dei bambini raccontati tra le pagine. «A gennaio ho stampato otto versioni provvisorie del libro in copisteria, rilegate con una spirale. Ne ho spedito una a ciascuna delle famiglie di cui parlo accompagnata da una lettera. Ero molto agitata. Avevo il timore che involontariamente li avessi feriti, o turbati, o avessi riaperto la scatola dei loro ricordi faticosamente chiusa. Mi dicevo che senza una loro risposta non avrei mai pubblicato il libro. E poi hanno cominciato ad arrivare, tutte, una per una. Lettere meravigliose. E tutte si concludevano dicendo che ero stata mamma infinite volte, di loro e dei loro bambini».


In "Nessuno esca piangendo" non c’è solo una storia, c’è una somma di vite che si intrecciano nel dolore e nella gioia - «spesso i nostri pazienti sono in realtà le famiglie intere» - e c’è anche una coppia che lotta, ci sono moltissimi argomenti che spesso non si vorrebbero affrontare. In "Nessuno esca piangendo" c’è il coraggio di pronunciare quelle parole che nessuno vorrebbe mai dover dire. (b.m.) Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino