Cinesi, pakistani e bengalesi: le strade della città che sono diventate una "piccola Asia"

Un negozio etnico
PORDENONE - «Non puoi fare foto, questa è casa nostra». Sguardo prima curioso, poi tono deciso. Lo scatto “incriminato” in realtà non era...

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PORDENONE - «Non puoi fare foto, questa è casa nostra». Sguardo prima curioso, poi tono deciso. Lo scatto “incriminato” in realtà non era nulla di trascendentale. Qualche immagine delle vetrine vuote e delle tante attività etniche di un quartiere - quello che gravita attorno a piazza Risorgimento - dal sapore orientale e sempre meno pordenonese. Eppure quella piccola e insignificante “intimidazione” (volutamente tra virgolette) riesce a descrivere una situazione più di tante analisi: c’è infatti una galassia di origini asiatiche che tra via Santa Caterina, piazzetta Costantini, piazza Risorgimento e l’ultimissima porzione di viale Trento ha trasformato quella zona di Pordenone in uno spicchio di Oriente. E tra sapori di spezie, piccole mercerie e minuscoli supermercati etnici non conosce la crisi che invece tocca i marchi del centro storico. Il contesto attorno? Vetrine vuote. 


IL CONTESTO


È mezzogiorno, in via Santa Caterina. Gli ultimi clienti delle Poste centrali di Pordenone escono ed entrano dalla porta principale. La banca che c’era a fianco adesso non c’è più. La scritta gialla dell’ufficio postale sta lì un po’ come l’ultimo “avamposto” in un quartiere che sembra più un angolo qualsiasi di una città asiatica. 
Pakistan, Bangladesh e Cina: sono queste le tre nazionalità maggiormente rappresentate nell’area del quadrilatero. E sono sempre di quella provenienza anche le proprietà degli unici negozi che in quella zona della città dimostrano di avere un’ottima resistenza alla crisi e di non patire il destino che invece ha accomunato altre vetrine dell’area in questione. 


LE ATTIVITÀ


Tra piazza Risorgimento, l’ultimo tratto di viale Trento, piazzetta Costantini e via Santa Caterina gli spazi sfitti sono tanti. Ma colpisce anche la permanenza tenace di attività economiche che in senso lato sono definite come etniche. È in realtà la conformazione stessa del quartiere e la frequentazione a tutte le ore del giorno, ad aver trasformato il contesto urbano. E questa dinamica non è governabile da una qualsiasi amministrazione. Nel giro di pochi metri, svoltando da viale Trento in via Rovereto, ci si immerge in qualcosa a metà tra Islamabad, Istanbul e una qualsiasi città della Cina. Un tratto distintivo, per niente al mondo un giudizio. 
Nello spazio di qualche vetrina, spuntano ad esempio quattro sartorie gestite da cittadini cinesi. Sono locali piccoli, all’interno al massimo due addetti. Ma ad un primo sguardo il lavoro sembra tanto, incessante. «I vostri clienti sono italiani?» «Sì, abbiamo prezzo bassi», dicono. Quindi non è poi così vero che piazza Risorgimento viene snobbata dai pordenonesi. Dipende cosa si cerca in quel determinato momento. 
Poi si passa al settore della ristorazione. Nel giro di qualche centinaio di metri, tre rivenditori di kebab. Due sono marchi storici, ormai entrati a far parte a loro modo della “pordenonesità”. I sapori che si possono percepire all’ora di pranzo sono quelli tipici di un mercato asiatico. E ancora parrucchieri con la scritta “Oriente”, un market che si chiama “Curcuma”, tanti piccoli negozietti che si rivolgono a un pubblico prettamente legato alla provenienza geografica, così come lo sono i prodotti in vendita. Frutta dal Marocco, spezie dal Subcontinente indiano. Un viaggio in Oriente a costo zero e in pieno centro a Pordenone. 


LE DINAMICHE


Tutto attorno, la zona boccheggia. E non da oggi. Le soluzioni sono complicate e non a portata di mano. Il Comune, proprio percependo la natura multietnica della zona, aveva anche preso la strada di una valorizzazione dei sapori e dei gusti stranieri, da elevare con locali di qualità. Poi l’idea non ha avuto seguito. I pochi negozi pordenonesi doc che sono rimasti ormai sono inseriti in un contesto completamente cambiato, figlio dell’interculturalità. Ma se piazza Risorgimento oggi non è definitivamente deserta, a conti fatti lo si deve proprio a quella trasformazione in una piccola Asia nell’estremo Nordest.  Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino