Strumenti, spartiti e personaggi: Folkest racconta la storia della musica popolare tra Alpi e Friuli

Orchestra di musica popolare a Nimis negli anni '20 del secolo scorso
Folkest, festival dedicato alla musica di tutte le etnie e le culture del mondo che ogni mese di luglio propone decine di concerti piccoli e grandi tra Friuli Venezia Giulia,...

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Folkest, festival dedicato alla musica di tutte le etnie e le culture del mondo che ogni mese di luglio propone decine di concerti piccoli e grandi tra Friuli Venezia Giulia, Veneto, Istria e Carinzia, ha fatto slittare quest'anno il programma dell'edizione numero 41 all’inizio di autunno, nel periodo tra il 17 settembre e il 5 ottobre. Nel mentre, gli organizzatori lavorano alle registrazioni a luglio di mini concerti tra Capodistria e 27 comuni del Friuli Venezia Giulia da condividere poi sul web, proponendo a ogni puntata tre brani di artisti del territorio e brevi presentazioni dei paesi che li ospitano, per coniugare musica a promozione delle realtà locali.


IL LIBRO
Nei mesi scorsi, Folkest ha dato alle stampe il libro “Lungje po’!", dal grido che erano soliti lanciare un tempo i ballerini  friulani all'indirizzo dei suonatori, per far loro capire di continuare a suonare, (258 pagine e cd allegato, prefazione di Angelo Floramo, ed. Folkest, 20 euro), occasione unica per saperne di più sulla musica tradizionale friulana e influenze limitrofe. Un volume tra storia, curiosità e costumi, in cui Andrea Del Favero, direttore di Folkest, racconta strumenti, orchestrine e personaggi della musica popolare in Friuli, con un viaggio che parte dal Cinquecento per approdare ai nostri giorni (con particolare approfondimento sugli ultimi due secoli) capace di catturare l’attenzione di curiosi e appassionanti per lo stile divulgativo, la ricca documentazione fotografica e la competenza del suo autore, che da oltre quarant’anni si dedica con passione alla musica popolare.

IL RUOLO DEL MUSICISTA
«L’uomo folklorico, che suona e compone musica, è la punta dell’iceberg di un mondo fatto anche da fabbricanti di strumenti e riparatori - annota l’autore - per tradizione il musicista è radicato nella società in cui vive: quella friulana un tempo era una società contadina e ci si esibiva nelle aie, nelle piazze e osterie; oggi la società è cambiata e si suona sui palcoscenici, nei teatri e festival, qualche volta ancora nelle sagre. I musicisti si sono evoluti, studiano e affinano le tecniche, ma anche suonare nelle balere richiedeva preparazione; ci si faceva le ossa per far ballare le persone, era una scuola diversa dallo studio con insegnante o esercizio sugli spartiti».
GLI STRUMENTI
La musica popolare era prodotta da fisarmoniche e violini, chitarre e liròn (antesignano del contrabbasso che usava un bidone come cassa di risonanza), strumenti a plettro, armoniche a bocca, strumenti a fiato (dal flauto all’ocarina) e a percussione, riuniti spesso in orchestrine come quelle del canal d’Incarojo (continuazione della tradizione, e nelle aree di cultura slovena, simili all’Oberkrajner austro-sloveno), la Bandella di tipo alpino, composta da strumenti a fiato e fisarmonica. «Gli strumenti determinano i suoni specifici della musica popolare - ricorda Del Favero - molti risalgono all’Ottocento e all’arco alpino che va dal Tirolo alla Carinzia e fino all’Istria. Lo stile locale cambia le suonate, anche se c’é una similitudine tra Carnia e Cadore, che fino a metà dell’Ottocento era infatti parte della diocesi di Udine; c’era un comune sentire. Il canto prevede anche le villotte arcaiche in chiave modale, pre Bach per capirci, la cui musica, influenzata dal Mediterraneo e dall’oriente bizantino, produce suoni stridenti ritmati che si avvicinano all’India».
I costruttori friulani avevano successo anche fuori regione, come il lituaio goriziano di scuola veneta Santo Serafino che arrivò a Venezia, Valentino Tin Pillinini costruttore e accordatore di fisarmoniche a Tolmezzo nella prima metà del ‘900, la famiglia Fedele di Ovaro, premiata già nel 1922 a Udine: «Gli strumenti musicali della famiglia, compresi vari ottoni - ricorda Del Favero - furono distrutti in un incendio sul finire dell’occupazione cosacca sul finire della Seconda guerra mondiale e restano, a parte pochi pezzi conservati, solo i ricordi».

L’EVOLUZIONE

Appassionato di tradizioni popolari fin da giovane (il padre era amico del sacerdote friulanista Pre’ Checo Placerean) Del Favero all’università a Padova si è interessato alla musica delle tradizioni, fondando nel 1982 il gruppo della Seldon Salvadie nel 1982, grazie all’amicizia con Riccardo Tesi, pioniere della musica etnica in Italia, che stava muovendo primi passi. E così ecco una vita dedicata a villotte, ballate, suonate, polche e mazurke. «Il musicista popolare è modernista, non conservatore - osserva, citando nel libro musicisti di ieri e di oggi come Lino Straulino, Loris Vescovo, Franco Giordani ed Elsa Martin - deve conoscere anche le nuove tendenze musicali alla moda altrimenti non viene chiamato a suonare». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino