VENEZIA - Lo scheletro affondato è stato "salvato" ma è... monco. Sono infatti dispersi in Canal Grande una porzione di piede destro e una parte di braccio...
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Attivato il nucleo sommozzatori dei Vigili del Fuoco di Venezia facendo partire un intervento subacqueo che ha riportato in secca la cheba veneziana del 1500 realizzata in ferro e legno, strumento a forma di gabbia utilizzato all'epoca della Serenissima per esporre i condannati alla pena infamante appesi in piazza San San Marco, che conteneva all'interno uno scheletro umano. L'apparato scheletrico completo, del valore di circa 50.000 euro, era contenuto nella cheba, nella quale doveva essere esposto nell'ambito della sezione della mostra dedicata alle pene infamanti, collocata al terzo piano di Palazzo Zaguri nella Sala - detta appunto - della Cheba.
Fino a tarda notte poi a Palazzo Zaguri è continuata la pulizia dello scheletro dai fanghi del fondale e la sua asciugatura in ogni sua parte anatomica per riportarlo più vicino allo stato originario in vista della valutazione del danno fornita stamattina dal medico legale Antonello Cirnelli: «Ho potuto visionare il reperto umano dopo il recupero, dall'integrità dell'apparato scheletrico manca l'intero porzione di arto superiore sinistro in quanto risulta disarticolata la testa dell'omero dal margine della glena scapolare e dalla soprastante formazione acromiale. Manca infine l'intero comparto composto da caviglia e piede destro».
“Siamo grati ai vigili del fuoco ed ai veneziani presenti nel luogo dell'incidente che ci hanno fornito subito aiuto - commenta l'amministratore unico di Venice Exhibition, Mauro Rigoni - purtroppo un danno così inaspettato ci coglie alla sprovvista ed ora dovremo capire come rimediare. Questi pezzi fanno parte di una collezione privata che abbiamo acquisito da poco come società. Stiamo valutando la possibilità e la convenienza di un secondo intervento di recupero subacqueo. Tutti i reperti esposti in mostra sono assicurati ma in questo caso l'oggetto consiste in materiale di una salma umana, quindi si tratta di un reperto unico non replicabile”. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino