Perestrojka e glasnost: quando in Unione Sovietica l'arte era libera

Due delle opere in mostra alla Galleria Spazzapan di Gradisca d'Isonzo
GRADISCA D'ISONZO (Gorizia) - Ci sono periodi storici in cui il vento del cambiamento ha soffiato così forte da renderli indelebili nella memoria collettiva;...

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GRADISCA D'ISONZO (Gorizia) - Ci sono periodi storici in cui il vento del cambiamento ha soffiato così forte da renderli indelebili nella memoria collettiva; è dedicata a uno di questi momenti la mostra Goodbye Perestrojka, che l’Erpac organizza nella Galleria Spazzapan di Gradisca d'Isonzo dal 2 dicembre 2017 e fino al 28 gennaio 2018. L’esposizione, la prima in Italia sull’argomento, preceduta solo nel 2009 da una piccola mostra a Venezia, ripercorre quello straordinario momento di entusiasmo politico e creativo che fu la Perestrojka attraverso cento opere di pittura, grafica, scultura di artisti dell'ex Unione Sovietica.


Quando si poteva esprimere apertamente la propria opinione
«In pochi mesi, grazie alla Perestrojka, tutto ciò che era sovietico divenne di moda a livello globale - ricorda nel catalogo della mostra Yuliya Lebedeva, critica e storica dell’arte, curatrice del Museum Other Art nella State University for the Humanities di Mosca. La Glasnost annunciata da Mikhail Gorbaciov alimentava la speranza che si potesse non sussurrare ma esprimere apertamente la propria opinione. Misteriosi vocaboli russi come Perestrojka e Glasnost risuonarono in tutti gli angoli della terra. Gli stessi simboli pomposi del regime, che fino a poco prima suscitavano solo una stanca irritazione, associati al rinnovamento conobbero un’autentica rinascita, e si trasformarono in souvenir».
 
Repertori fantascientifici 
Tra le opere ce ne sono anche alcune del periodo pre perestrojka, dal 1983, e post perestrojka, fino al 1999. «Alle opere di Shabalin, pervase da un surrealismo grottesco sfociato poi in un repertorio fantascientifico che asciuga le figure in fossili - scrive la critica d’arte Arianna Di Genova - si giustappongono quelle di Kalcenko, in cui strutture organiche alla Arp si disfano entrando in contatto con l’atmosfera. O ancora, quelle di Cernik, che sviluppa le amebe di Tanguy in presenze aliene vagamente somiglianti ai reperti etruschi o micenei, in un esistenzialismo arcaico».

In trasparenza le icone della tradizione russa

«Dietro le opere di Olimpiuk, ci sono in trasparenza le icone della tradizione russa: si sono contaminate con le concrezioni delle muffe e accolgono apparizioni che scartano dal sacro per inoltrarsi sui sentieri del profano, mentre per Barannik la ieraticità di un tempo è sconfitta dalle tessiture della materia che vela e imbozzola nuove realtà. Bocharov e Belikova invece attingono alla naïveté delle fiabe e leggende popolari per introdurre personaggi onirici. E se Etenko galoppa con le sue ruote nei dinamismi del Futurismo, sciogliendo il soggetto in linee e colori, a fermare quella fuga ci pensa Manuilov con i suoi oggetti strettamente ancorati alla realtà, in eterna metamorfosi con l’architettura». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino