UDINE - Dal 30 maggio, e per un anno, il Museo etnografico friulano di Udine si arricchisce di un nuovo allestimento, all’interno della sala dedicata alla...
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Accanto ai diversi modelli esposti figura anche una culla disegnata dall’architetto Ottorino Aloisio e realizzata dall’Industria del vimini (Gervasoni) intorno al 1930: un modello ancora attuale. La prima infanzia era un periodo particolarmente vulnerabile. La precarietà della salute infantile, nonché i pericoli, molto diffusi nel passato e nelle classi popolari in particolare, richiedevano di mettere in atto una serie di misure contro i numerosi rischi che incombevano sui neonati: la caduta dalla culla, l’attacco da parte di animali, il rischio di incendio causato dal fuoco presso il quale veniva posizionata la culla per tenere il bambino al caldo. Molti ex voto dipinti illustrano situazioni di scampato pericolo non infrequente. La culla non doveva essere incustodita, era dipinta o decorata con colori scaramantici, addobbata da un corredo di oggetti protettivi da quelli religiosi agli amuleti.
Delle pratiche rituali di integrazione del bambino fanno parte anche la scelta del nome e il battesimo che ufficializza l’ingresso nella comunità d’appartenenza. Il bambino veniva trasportato in chiesa da una giovane ragazza, simbolo dell’innocenza, accompagnato dai genitori, dai padrini, da parenti e dalla levatrice. Il volto era protetto da un velo in quanto il suo stato ancora liminale, cioè tra l’essere e il non essere al mondo, tra la vita e la morte, lo rendeva vulnerabile agli sguardi malevoli, possibili cause di malocchio. Nei battesimi officiati nel periodo invernale, per riparare il bambino dalle intemperie durante il tragitto dalla casa alla chiesa era consuetudine deporlo in un’arca di legno e vetri, finemente lavorata e solitamente di proprietà della levatrice che le concedeva all’occorrenza. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino