Ci siamo. Si ricomincia. Spalanchiamo gli occhi: ci sarà molto da piangere, parecchio da indignarsi, assai da soffrire. Poco spazio avrà l’allegria. E d’altronde di...
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Nella sua placida immutabilità, il Lido si appresta ad alzare il sipario sulla 72esima edizione di un festival, che qui da sempre si nomina orgogliosamente Mostra, chiamata anche quest’anno a difendere la sua immagine di “almanacco del presente” del cinema, cercando di rappresentare tutte le pulsioni di un’arte, che dall’Italia alle isole Vanuatu, sperse nel Pacifico, al largo dell’Australia, sta evolvendosi in modo quasi schizofrenico dentro alla tecnologia più entusiasmante, che spalanca, tuttavia, al tempo stesso, le porte del “fai da te” a chiunque abbia voglia una mattina di provare a fare il regista. Quindi scegliere diventa sempre più complesso e frastornante, di fronte a una produzione pantagruelica, che inevitabilmente porta tra inattesi capolavori nascosti da scovare, anche tanti lavori che di grande hanno solo l’ambizione. Si aggiunga poi, che negli ultimi anni, le grandi produzioni hanno smesso di usare i festival più importanti (oltre a Venezia, Cannes, Toronto eccetera) come piattaforme di lancio per i loro film, preferendo evitare passaggi che possono rivelarsi controproducenti, magari con critiche feroci o premi mancati. E anche quest’anno qualche defezione fa davvero male e fastidio: Del Toro, Zemeckis, a cui si è aggiunto, all’ultimo, anche un sorprendente forfeit per un ritardo post-produttivo di un corto di un quarto d’ora, attesissimo per via di magnifiche presenze (Scorsese, De Niro, Pitt, DiCaprio), annunciato a fine luglio e saltato a poche ore dal via.
Il programma resta comunque apparentemente elevato, spiazzante se si vuole dare un significato preciso a una Mostra per ora difficile da decifrare, ma che il suo direttore Alberto Barbera, al quarto e ultimo mandato (tuttavia sono sempre più insistenti le voci di una possibile aggiunta di un quinto straordinario), fieramente sottolinea come la migliore possibile in un anno non particolarmente brillante per il cinema mondiale, ma capace di distillare comunque opere di assoluto valore, che appunto dovremmo vedere in questi giorni che vanno da oggi al 12 settembre.
Quattro film italiani in gara per il Leone d’oro, un po’ troppi se si pensa a un’anemica annata nostrana, molto diversi tra loro, dal consolidato Bellocchio all’esordiente Messina fino agli outsider Gaudino e Guadagnino, poi Francia, Usa e tanto altro, dall’eccentrica Laurie Anderson al crudele Fukunaga, dal suntuoso Sokurov al durissimo venezuelano Lorenzo Vigas. E poi Orizzonti, i laboratori della Settimana della Critica e delle Giornate degli Autori. E divi, parecchi divi. Perché senza questi oggi i festival morirebbero anche prima. A volte che si proiettino anche film sembra pura coincidenza. Fanno più tendenza come una star taglia la bistecca e se una diva si è consegnata al regno vegano, piuttosto che un piccione seduto su un ramo mentre riflette sull’esistenza. Ma si sa: gli umani sembrano sempre più a disagio con il Pensiero.
Buona Mostra, Venezia. Ricominciare ogni anno è una dimostrazione di (r)esistenza, un tributo alla propria volontà di non abbandonarsi all’orgia dell’oblio che perseguita i nostri giorni. Lunga vita al cinema, lunga vita alla Mostra. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino