VENEZIA - La mano di un cacciatore appoggiata sulla zampa di un orso bianco, da poco ucciso. Le cinque dita, la pelle rugosa sopra, e cuscinetti scuri e le grandi unghie del...
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C'è un'enorme vitalità nell'artico che noi, occidentali da salotto, consideriamo un unicum bianco di neve e ghiacciai. Invece gli stessi abitanti di questa terra raccontano e percepiscono il loro dislocamento culturale e sociale: «Stiamo perdendo il nostro stile di vita degli inuit» dice uno di loro in un filmato mentre cammina verso una specie di supermercato. Inuit vuol dire uomini/umanità; in passato nei sussidiari scolastici questa popolazione era conosciuta come eschimesi, vale a dire quelli che fabbricano racchette da neve.
Vederla, questa gente, le loro case, il loro sterminato siderale territorio, le loro fatiche divise tra slitte di cani, motoslitte e kayak non è difficile: a Venezia, Giudecca, Casa dei tre Oci la mostra Artico. Ultima frontiera (fino al 2 aprile 2017) curata da Denis Curti offre 120 immagini in bianco e nero. Sono i fotografi Paolo Solari Bozzi (Roma, 1957), Ragnar Axelsson (Kopavogur, Islanda, 1958) e Carsten Egevang (Taastrup, Danimarca, 1969) con tre angolature sempre differenti ma con un respiro coordinato ad approfondire l'area del pianeta che comprende la Groenlandia, la Siberia, l'Alaska, l'Islanda. Artico, da ricordare, si riferisce a terra dove c'è l'orso (dalla parola greca arktos, orsa maggiore).
Qui vivono Inuit, 150mila individui, che condividono con un ambiente di nevi, ghiaccio, freddo, venti, scarse risorse, la loro vita quotidiana. Esistenza cambiata radicalmente negli ultimi decenni. Un esempio? Non troverete una foto di un igloo, spariti tutti o quasi fin dagli anni '70, adesso gli inuit vivono in case di legno, baracche o strutture più nobili e lentamente si spostano col loro cellulare - verso regioni più agevoli.
Mettiamoci riscaldamento globale, alcol, suicidi e il confronto con paesaggi da creazione diceva ancora più struggente. La rassegna si chiuderà con un'asta delle fotografie in mostra. Ultima annotazione, derivata da un dialettale commento di un veneziano presente alla vernice: «Questi inuit sono 150mila e si preoccupa tutto il mondo, noi, i veneziani quasi 50mila: meriteremo una mostra, siamo anche qui all'ultimo confine, l'ultima frontiera di un'umanità». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino