In silenzio, come riservata è stata tutta la sua vita, se ne è andato Giorgio Igne, 86 anni, lo “scultore senza frontiere”,come lo aveva definito...
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LA VITA
Igne era nato a Milano, nel 1934 e, ancora piccolo, durante la Seconda Guerra Mondiale, i genitori decisero di mandarlo dalla nonna, nella campagna Sacilese, «Diventata la sua “casa” - ricorda Camol - e l’ispirazione per le sue opere». Igne ha conseguito il titolo di “Maestro di scultura in pietra” all’Istituto d’arte di Venezia e il diploma in scultura all’Accademia di Brera, a Milano, sotto la guida dei maestri Francesco Messina e Francesco Wildt. La sua attività scultorea inizia negli anni ’50 e procede parallelamente all’insegnamento di discipline artistiche nelle scuole>. Nei primi anni ’90 lascia la professione di docente e si dedica al volontariato nell’ex Jugoslavia devastata dalla guerra. Prima di rientrare in Italia, soggiornò per lunghi periodi in Argentina, Terra del Fuoco, Brasile, Bolivia, Ciad, dove realizza opere monumentali, che testimoniano la sua presenza e il suo impegno sociale. In Italia prosegue la sua intensa attività artistica. L’indagine intorno all’uomo - ricorda Camol - è stata il perno della sua ricerca artistica.
LO STILE
Al linguaggio classico delle prime opere, quando utilizza materiali tradizionali quali bronzo, marmo e gesso, Giorgio sostituisce uno stile più immediato e diretto, rivolto all’esaltazione di una forma di matrice impressionista, caratterizzata da un realismo tormentato, pungente, talvolta esagerato». Nelle sue opere si trova l’esistenza umana, fatta di angosce, errori, dolori; sentimenti, che prendono forma nelle figure di donne e di madri consumate dalla fatica o dal pianto dei figli. Questi i temi delle sue opere principali: “Crocifisso”, “Donna”, “Madre” , “Madre e figlio” “Condizione umana”, “Ruota della vita” J’accuse”, “Attesa” e “Partecipazione. Passeggiando in città i sacilesi avranno sempre vivo il suo ricordo attraverso alcune opere donate dallo scultore: “Il pesce che gioca con il bambino”,vicino al Ponte della Vittoria; la “Santa Giuseppina Bakita”, sotto la loggia del Municipio, la “Donna di Sarone” e il “Fauno”, all’interno di Palazzo Ragazzoni. Nella chiesa di San Giovanni battista la via Crucis, mentre all’esterno della sede degli Alpini si può ammirare “La Meio Fameja”. Molteplici le testimonianze di dolore e di stima che hanno riempito i social, di sacilesi e non, che testimoniano il loro dolore e assieme all’apprezzamento per l’artista; «le cui opere - conclude Camol - esprimono dolore, bisogno, dignità e voglia di riscatto della sostanza umana.Nella sua vita artistica Giorgio Igne non ha cercato fama e successo, ma fatica e sofferenza». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino