È morto il giudice Francesco Aliprandi, in prima linea contro le Brigate Rosse e il sequestro Celadon

E' morto il giudice Francesco Aliprandi
PADOVA - Un brillante magistrato, con una carriera che attraversò periodi decisivi per la storia di Padova come gli anni ‘70. Un professionista stimato, dalla...

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PADOVA - Un brillante magistrato, con una carriera che attraversò periodi decisivi per la storia di Padova come gli anni ‘70. Un professionista stimato, dalla grandissima cultura e con un cognome notissimo in città. Eppure Francesco Aliprandi è stato per tutta la vita un uomo dal carattere mite, elegante, onesto, mai sopra le righe. Anche in virtù di quel lavoro che lo portava a giudicare il destino altrui e che lo ha sempre portato a considerare l’altro senza preconcetti, senza prevaricazioni.


Aliprandi si è spento tra sabato e ieri in quella che da ormai quarant’anni era la casa di famiglia in via Soncin, nel cuore del Ghetto. Il 20 maggio avrebbe compiuto 89 anni. Lascia la moglie Agata e i figli Giuseppe e Chiara.


IL RICORDO
«Quest’ultimo anno segnato dalla malattia è stato particolarmente significativo e doloroso –ha spiegato il figlio Giuseppe – Inoltre proprio tra pochi mesi avrebbe festeggiato il traguardo dei sessant’anni di matrimonio con mia madre Agata. La loro è stata davvero un’intera vita trascorsa insieme, fianco a fianco». Un anno fa Francesco Aliprandi aveva avuto un problema di natura cardiaca, i cui strascichi poi lo hanno accompagnato fino a quando si è spento fra le mura di casa.
Era un padovano doc Aliprandi, figlio di Giuseppe, celebre stenografo a cui è intitolata l’Accademia Italiana di Stenografia e che dopo la Prima guerra mondiale dal Pavese si trasferì nella città del Santo insegnando matematica all’università. «Ha vissuto a Padova tutta la vita – aggiunge il figlio – amava moltissimo la sua città, per la quale stato grande testimonianza dell’impegno profuso attraverso il suo lavoro al servizio della Legge. Ma è sempre stato un uomo mite, modesto, un grandissimo lavoratore: è proprio questa l’eredità che sento di aver raccolto da lui, il non sentirsi mai al di sopra di nessun altro. Proprio lui, che era chiamato a giudicare le vite altrui, considerava sempre che chi arrivava a commettere certe scelte sbagliate probabilmente lo faceva a causa di situazioni di necessità».


LA CARRIERA
Cominciò come avvocato nello studio Penasa. Poi l’ingresso in magistratura a ottobre 1961. Primo incarico nella Pretura patavina, poi al Tribunale dei minorenni e dopo ancora all’Ufficio Istruzione, a fianco di Giovanni Tamburino. Erano gli anni Settanta, quelli dell’assassinio dell’appuntato Antonio Niedda a Ponte di Brenta per mano delle Brigate Rosse, dei sequestri di persona, della guerriglia urbana. Quelli dei Nocs e della liberazione del generale James Lee Dozier tenuto prigioniero alla Guizza. In prima linea, nel palazzo di Giustizia, c’era lui, Francesco Aliprandi.
Poi il trasferimento a Vicenza a metà anni Ottanta’80, dove fu presidente del tribunale e dove si occupò del sequestro di Carlo Celadon, figlio di un industriale di Arzignano tenuto prigioniero per due anni. Poi di nuovo a Padova e infine a Venezia, alla Corte d’Appello dove, dopo 43 anni in magistratura, nel 2005 era arrivata la pensione a conclusione della sentenza sul Petrolchimico di Marghera. In questi anni aveva continuato a restare attivo, partecipando a diversi progetti con il carcere Due Palazzi.


I funerali si svolgeranno mercoledì alle 11 in Duomo.

 

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Il Gazzettino