Morì dopo la visita, i genitori: «Indagate ancora con giuste cure si sarebbe salvato»

SEDICO - Non si arrendono i familiari di Davide Bristot, il 18enne di Sedico morto a casa sua la notte tra il 13 e il 14 luglio 2021 dopo essere stato visitato al Pronto...

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SEDICO - Non si arrendono i familiari di Davide Bristot, il 18enne di Sedico morto a casa sua la notte tra il 13 e il 14 luglio 2021 dopo essere stato visitato al Pronto Soccorso di Belluno per un forte mal di testa e vomito. Il pubblico ministero ha rilevato negligenza e imprudenza nella condotta del medico Angelo Beccari, che visitò il ragazzo e poi lo lasciò andare a casa, ma non è riuscito a dimostrarla e quindi ha chiesto l'archiviazione del caso. La famiglia si è opposta e ieri mattina, in tribunale a Belluno, ha cercato di convincere il giudice del fatto che se Davide fosse stato curato in modo diverso, forse si sarebbe salvato.

L'UDIENZA
Beccari ha partecipato all'udienza, accanto all'avvocato Massimiliano Paniz, mentre per i familiari di Davide Bristot c'era l'avvocato Chiara Tartari. È stata una discussione lunga e complicata. La parte civile ha fatto leva sulla valutazione medico legale del dottor Francesco Pravato (che si è avvalso della consulenza di un aritmologo) secondo cui sarebbe stato sottovalutato l'edema cerebrale riscontrato a livello autoptico. Il ragazzo era entrato in ospedale con un forte mal di testa e vomito. Non si reggeva in piedi. Per Pravato lo scompenso idro-elettrolitico avrebbe causato l'arresto cardio-circolatorio. Davide Bristot infatti era disidratato. Aveva giovato a beach-volley tutto il pomeriggio e, come scritto nella cartella clinica, «non aveva mai bevuto acqua». Nel suo organismo, secondo la parte civile, c'era una forte carenza di sodio e potassio che ha messo in moto i disturbi a livello fisico fino ad arrivare alla morte. Contro questa valutazione, la difesa ha depositato una contro-perizia cercando di sottolineare l'indimostrabilità di quelle conclusioni.

LA PROVA
C'è un punto importante, però, che lega la consulenza chiesta dal pm e quella della parte civile. Al ragazzo, durante la fase di triage, era stato assegnato il codice arancione. La gravità della situazione era nota e l'infermiera aveva provveduto all'analisi del sangue. Pare che il medico non abbia ritenuto necessario esaminare il campione, procedendo a dargli due fiale di fisiologica e a mandarlo a casa. Quella, per la Procura, sarebbe stata la prova regina. Soltanto il sangue avrebbe potuto chiarire una volta per tutte quale scompenso fosse in atto nel corpo del ragazzo. Al momento della perquisizione, la fialetta non esisteva più poiché, passati 2-3 giorni, i campioni inutilizzati vengono buttati.

LA DECISIONE


A questo punto le strade si dividono. Per il pubblico ministero Davide non doveva essere dimesso dal Pronto Soccorso ma non è possibile dimostrare che si sia trattato di uno scompenso idro-elettrolitico. Per la parte civile, invece, è possibile dimostrarlo anche senza il campione di sangue. Inoltre, il 18enne veniva controllato ogni anno a livello cardiaco per le visite medico-sportive necessarie per l'attività agonistica. Sta di fatto che Davide morì quella notte con gli stessi sintomi con cui era entrato al pronto soccorso di Belluno. Nei prossimi giorni il giudice scioglierà la riserva su un caso che aveva sconvolto l'intera provincia, portando all'intervento di Luca Zaia, con un servizio ispettivo regionale per capire se l'assistenza medica fosse stata o meno consona al quadro clinico. «In ospedale aveva raccontato il papà di Davide ci hanno detto che andava tutto bene. Nessuno va a pensare che un ragazzo di 18 anni abbia qualcosa. Ma a volte, forse, è proprio il giovane che avrebbe bisogno di un'attenzione particolare in più».

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Il Gazzettino