Container per i morti all'aperto perché le celle frigorifere dell'ospedale sono piene

Il cassone frigo all'osopedale di Legnago
VERONA - Il container frigo per le salme davanti all'ospedale di Legnago fa scoppiare il caso Verona, anomalo nei numeri dei contagi rispetto al resto del Veneto. È...

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VERONA - Il container frigo per le salme davanti all'ospedale di Legnago fa scoppiare il caso Verona, anomalo nei numeri dei contagi rispetto al resto del Veneto. È apparso due giorni fa, in un cunicolo tra due ali dell'ospedale Mater Salutis di Legnago, destinato a conservare le salme dei morti per Covid. Le celle mortuarie di quello che, dopo i due ospedali di Verona, è l'unico polo per acuti della provincia scaligera, a cui fa riferimento un territorio che va dal Basso Veronese al Polesine al Basso Padovano, sono strapiene e non si sa più dove collocare i cadaveri. Come era accaduto alcuni giorni fa anche all'ospedale di Montebelluna (Tv) dove però ancora non si è dovuto ricorrere ai container frigoriferi. Una situazione che testimonia di un ospedale di Legnago allo stremo, col Pronto Soccorso oramai ingestibile, con i posti letto per malati di Covid che sono arrivati al 207% di quelli che erano previsti da Ulss 9 e Regione (dato Quotidiano Sanità) e dove, tra venerdì e domenica sera, è stato montato perfino un ospedale da campo dai militari del Terzo Stormo dell'Aeronautica di base a Villafranca per cercare di dare un po' di ossigeno al Pronto soccorso. E soprattutto apre un caso sulla situazione di Verona dove bollettini la confermano come la prima provincia veneta per numero di contagi. 


IL RECORD

Quello di ieri alle 8 parlava di 495 nuovi casi rispetto alle 17 del giorno prima, con 6 decessi e un totale di 18,961 persone attualmente posti in tutta la provincia. Ma soprattutto con gli ospedali che non ce la fanno più: 2.945 ricoverati per Covid dei quali 372 in terapia intensiva. Con una vera emergenza all'ospedale di Legnago, dove l'occupazione dei posti letto destinati a malati Covid è arrivata al 207% di quelli previsti; da 56 a oltre 150. Un allarme su Verona che c'era stato anche a marzo, con la prima ondata: ma allora si era spiegato con la vicinanza alla Lombardia, a Brescia e Bergamo. Oggi non si comprende. «Non è possibile andare avanti così, con i morti che non sappiamo più dove mettere, con il personale allo stremo. Anche ieri ho avuto notizia di altri 4 operatori del Pronto soccorso di Legnago contagiati. Siamo oltre i 35 casi tra il personale di questa struttura, tra cui 10 medici - dice Sonia Todesco, segretaria del settore sanità della Cgil Veronese -. Tanto che come organizzazioni sindacali di Verona, Cgil, Cisl e Uil, stiamo predisponendo una lettera da inviare già domani (oggi per chi legge, Ndr) al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, per chiedere che Verona venga messa in zona rossa e si applichi la misura del lockdown perché altrimenti gli ospedali collasseranno». «Al momento abbiamo raggiunto la saturazione, tutte le terapie intensive sono piene di pazienti intubati - confermano al Pronto Soccorso di Legnago, il primario Francesco Pratticò ed il dottor Francesco Raineri -. Abbiamo dovuto raddoppiare i posti letto inventandoci spazi anche dove non c'erano, mancano solo i ripostigli. Noi medici stiamo lavorando su 13-15 turni mensili da 12 ore ciascuno. Si tenga conto che per lavorare in condizioni ottimali di concentrazione e riposo non dovremmo superare i 12 turni. Stesse settimane di fuoco anche per gli infermieri. Arrivano pazienti in continuazione, con le ambulanze che escono e rientrano cariche, tutte insieme, senza sosta». 
I TURNI

«E se un collega si ammala dobbiamo sobbarcarci i suoi turni, ma d'altronde quali alternative ci sono? Paghiamo la cronica mancanza di medici e una mancata programmazione statale per l'università - accusano i due medici -. Per gestire un paziente Covid servono controlli continui». «Verona per i dati dei contagi ha un Rt di 1,49 e deve essere dichiarata zona rossa. Questa è la verità, anche perché abbiano ospedali dove Pronto soccorsi e Terapie intensive, per esempio a Legnago, sono utilizzati al 200% del loro potenziale - conclude Todesco -. Ed è vergognoso che anche oggi Zaia vada in videoconferenza a dire che lui avrebbe già chiuso se ci fossero i ristori per i commercianti. Ma scherziamo? C'è gente che muore e pensiamo all'economia? Prima deve venire la salute pubblica, e chi governa questo dovrebbe saperlo».


Massimo Rossignati 
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Il Gazzettino