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MESTRE - Le armi provenivano da due canali: da una parte venivano accettate come merce di scambio per la droga, dall'altra ci si affidava a dei fornitori dall'Europa dell'Est. Il risultato è che il gruppo criminale con a capo, secondo i carabinieri del nucleo investigativo di Venezia e il pubblico ministero Andrea Petroni, il 42enne di Noale Giuseppe Speranza, aveva accumulato un vero e proprio arsenale: armi comuni da sparo, armi clandestine, da guerra, tra cui un mitragliatore con colpi e caricatore, due panetti di esplosivo dotati di miccia e detonatore, una carabina, un fucile a pompa e munizioni a non finire. I militari le avevano scoperte quasi per caso a casa di Diego Simion, a Mira: lì, infatti, i carabinieri stavano cercando della cocaina che arrivava, appunto, da Speranza. Negli armadi e nei cassetti, invece, si sono ritrovati a fare i conti con Beretta, Colt, Zastava e Smith&Wesson.
LA RICOSTRUZIONE
Secondo la ricostruzione degli investigatori le armi erano di Speranza e Simion aveva il compito di custodirle. A cosa servivano? Secondo i militari è possibile che venissero utilizzate per delle rapine, concesse a noleggio (anche) ad altri criminali più o meno vicini al gruppo per diverse ragioni.
CRIMINALITÀ ORGANIZZATA
A questo proposito torna il legame con i Casalesi. Speranza, hanno ricostruito gli inquirenti, è legato per vincoli di sangue alla criminalità organizzata: suo padre, Salvatore Speranza, O sergente, apparteneva al clan Mallardo di Giugliano e agli allora Casalesi di Francesco Schiavone (detto Sandokan). I rapporti col padre, in realtà, non sono più così frequenti, anche perché Salvatore è diventato collaboratore di giustizia. Un altro componente della banda, il 51enne Ciro Pinto (Don Ciro), pur non avendo legami diretti con la criminalità organizzata, conosceva piuttosto bene l'ambiente della Camorra: il fratello Gaetano faceva parte del clan Ascione-Papale ed era stato assassinato nel 2007 nel conflitto tra le famiglie Ascione e Birra.
Il Gazzettino