Mira. Fucili a pompa, mitragliatore e carabina, le armi dei narcotrafficanti "in prestito" per le rapine nel veneziano

Fucili a pompa, mitragliatore e carabina, le armi dei narcotrafficanti "in prestito" per le rapine nel veneziano
MESTRE - Le armi provenivano da due canali: da una parte venivano accettate come merce di scambio per la droga, dall'altra ci si affidava a dei fornitori dall'Europa...

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MESTRE - Le armi provenivano da due canali: da una parte venivano accettate come merce di scambio per la droga, dall'altra ci si affidava a dei fornitori dall'Europa dell'Est. Il risultato è che il gruppo criminale con a capo, secondo i carabinieri del nucleo investigativo di Venezia e il pubblico ministero Andrea Petroni, il 42enne di Noale Giuseppe Speranza, aveva accumulato un vero e proprio arsenale: armi comuni da sparo, armi clandestine, da guerra, tra cui un mitragliatore con colpi e caricatore, due panetti di esplosivo dotati di miccia e detonatore, una carabina, un fucile a pompa e munizioni a non finire. I militari le avevano scoperte quasi per caso a casa di Diego Simion, a Mira: lì, infatti, i carabinieri stavano cercando della cocaina che arrivava, appunto, da Speranza. Negli armadi e nei cassetti, invece, si sono ritrovati a fare i conti con Beretta, Colt, Zastava e Smith&Wesson.

LA RICOSTRUZIONE

Secondo la ricostruzione degli investigatori le armi erano di Speranza e Simion aveva il compito di custodirle. A cosa servivano? Secondo i militari è possibile che venissero utilizzate per delle rapine, concesse a noleggio (anche) ad altri criminali più o meno vicini al gruppo per diverse ragioni. Uno, in particolare, il colpo che secondo i carabinieri potrebbe spiegare il collegamento all'arsenale: la tentata rapina del 2013 alla pizzeria La Fornace di Martellago (in cui era stato chiesto il rinvio a giudizio dello stesso Speranza). Testimoni e collaboratori di giustizia confermarono, all'epoca, che fu appunto il 42enne di Noale a fornire le armi per l'assalto. Un altro rapinatore, interrogato nel 2020, raccontò agli investigatori che si era procurato l'arma utilizzata (una 765 clandestina) proprio da Speranza. Non è finita: un collaboratore di giustizia coinvolto nel caso dei Casalesi di Eraclea, raccontò agli inquirenti nel 2020 che «Speranza mi disse che aveva bisogno di armi perché aveva bisogno di una persona per fare insieme una rapina ad una banca e voleva che io dessi appoggio con due esecutori materiali».

CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

A questo proposito torna il legame con i Casalesi. Speranza, hanno ricostruito gli inquirenti, è legato per vincoli di sangue alla criminalità organizzata: suo padre, Salvatore Speranza, O sergente, apparteneva al clan Mallardo di Giugliano e agli allora Casalesi di Francesco Schiavone (detto Sandokan). I rapporti col padre, in realtà, non sono più così frequenti, anche perché Salvatore è diventato collaboratore di giustizia. Un altro componente della banda, il 51enne Ciro Pinto (Don Ciro), pur non avendo legami diretti con la criminalità organizzata, conosceva piuttosto bene l'ambiente della Camorra: il fratello Gaetano faceva parte del clan Ascione-Papale ed era stato assassinato nel 2007 nel conflitto tra le famiglie Ascione e Birra.
 

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Il Gazzettino