«Ti licenzio», minacce al collega medico: indagata dirigente dell'Ulss

Il carcere di Rovigo teatro della contesa
ROVIGO - Una contesa fra medici che ha come teatro la casa circondariale di Rovigo e che è approdata sui tavoli del Tribunale. La dirigente dell’Unità...

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ROVIGO - Una contesa fra medici che ha come teatro la casa circondariale di Rovigo e che è approdata sui tavoli del Tribunale. La dirigente dell’Unità operativa semplice dipartimentale per la Sanità penitenziaria dell’Ulss Polesana Gabriella Rossi avrebbe infatti accusato un medico del servizio integrativo di assistenza sanitaria e guardia medica del carcere rodigino di aver compilato falsi certificati per i detenuti. Ma a presentare una denuncia è stato proprio quest’ultimo, il dottor Alberto Burato, accusando la dirigente di averlo ripetutamente minacciato. In prima battuta la Procura aveva deciso di archiviare. La difesa del dottor Burato, affidata all’avvocato Giampietro Berti, si era opposta e il giudice per le indagini preliminari Silvia Varotto aveva disposto un supplemento di indagini. Sono state così raccolte ulteriori testimonianze di medici e infermieri e, sulla base di queste, il giudice per le indagini preliminari Raffaele Belvederi ha disposto l’imputazione coatta.

GLI EPISODI
Nella denuncia si indicherebbero almeno quattro episodi, fra l’estate del 2017 e l’inverno del 2018. In particolare, al medico, con un incarico a termine, retribuito sulla base dei turni, secondo quanto riferito, sarebbe stato detto che il suo contratto non sarebbe stato rinnovato, che il suo stipendio sarebbe stato ridotto a uno straccio e che se si fosse ancora rivolto ai vertici dell’Ulss l’avrebbe pagata cara. Minacce che, avrebbero prostrato psicologicamente il dottore, che avrebbe considerato anche l’aspetto civilistico della questione, ipotizzando il mobbing. Si tratta ancora di fasi preliminari: il gip ha ritenuto che vi siano elementi sufficienti per sostenere l’accusa in un processo e saranno i prossimi passaggi a valutarne la fondatezza. L’avocato Berti spiega che della decisione sono stati informati sia l’Ulss che l’Ordine dei medici, «affinché assumano i provvedimenti volti ad evitare il ripetersi di tali comportamenti», e auspica un intervento anche da parte della Direzione della casa circondariale.
LA “VITTIMA”

Il dottor Burato, da parte sua, si dice «contento perché è una storia che va avanti dal 2017 con due tentativi di archiviazione, invece finalmente si andrà a giudizio. Ci sono due testimoni che confermano la mia versione: offese gratuite e gravi, l’episodio peggiore il 21 agosto del 2017 quando mi è stato detto «ti faccio licenziare» e altre offese. Sapevo che la dottoressa aveva tenuto lo stesso atteggiamento anche con un altro medico. Mi accusava di fare certificati falsi ma non ne ho mai falsificato uno. Quando è successo l’episodio del 21 agosto 2017, ho scritto al direttore generale Antonio Compostella, al direttore sanitario Contato e al direttore di distretto Brazzale: hanno convocato la dottoressa e non me, non mi hanno nemmeno ascoltato. Mi sono sentito umiliato, vilipeso e abbandonato. Ho segnalato tutto al presidente dell’Ordine dei medici, che non ha fatto niente. Io lavoro per passione e i detenuti hanno stima di me perché li curo e non li giudico. Abbiamo fatto tre o quattro riunioni per parlarne e la dottoressa usciva con la frase: “A me nessuno mi può toccare perché ho le spalle coperte”. Io non cerco vendette, solo giustizia».
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Il Gazzettino