Migranti, arrivato dalla Tunisia a 27 anni: «Voglio andare a Napoli dalla mia famiglia: Forza azzurri!»

MARGHERA - Mastica un po' di inglese. Viene dalla Tunisia, ha 27 anni. «Voglio andare a Napoli, c'è la mia famiglia. E poi ho parenti anche in...

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MARGHERA - Mastica un po' di inglese. Viene dalla Tunisia, ha 27 anni. «Voglio andare a Napoli, c'è la mia famiglia. E poi ho parenti anche in Germania». Ma allora cosa ci fa a Marghera? Deve passare attraverso il circuito dei centri di accoglienza e una volta esaminata la sua posizione potrà andare dai congiunti. Racconta che è partito lo scorso 10 agosto in barca. Erano in 67. Approdati a Lampedusa. Cerca lavoro. Ripete "Forza Napoli" e la maglia dei campioni d'Italia la indossa. Mostra una foto di suo fratello che ha, testuale, una "barberia" a Salerno ed espone lo scudetto azzurro. E sorride. Confessa di aver avuto paura in mezzo la mare. Come il suo compagno di viaggio. Un ragazzo di appena vent'anni. Cosa ti aspetti? «Un lavoro. Là non c'è niente» dice. Mangia un panino. Ha fame. Tanta.


Né lui né il connazionale sanno di essere "un'emergenza". Quella degli sbarchi. Quella dei migranti.

CASA SAN RAFFAELE
«Di emergenza si parla da 25 anni. Da quando con mio padre abbiamo fondato la casa San Raffaele in via Riscossa a Oriago. Non è cambiato nulla. Anzi semmai le cose sono peggiorate. Dove andranno tutte queste persone? Per strada?».
A parlare è Alberto Albertini, figlio di uno dei primi diaconi permanenti voluti dal patriarca Marco Cè insieme a don Dino Pistolato.
«Prima eravamo in un edificio vicino a Forte Marghera poi c'è stata l'occasione di una ex lavanderia in vendita lungo la Riviera - continua Albertini - e io, che sono architetto, ho aiutato mio papà a ristrutturarla. Siamo andati anche in Austria per vedere il loro modello di accoglienza. Abbiamo 24 posti letto, e 23 ospiti, solo maschi, di cui due nella sezione arresti domiciliari. Questo fa parte di una convenzione con il Ministero siglata al tempo da don Nandino Capovilla. Nessuno di loro è arrivato con gli ultimi smistamenti. Quando il prefetto ha interpellato il diacono della Caritas ho risposto che avevo un solo posto disponibile. Siamo una realtà di secondo livello con persone al di fuori del circuito dei Cas, i Centri di accoglienza straordinari».

PREOCCUPAZIONE
Albertini non nasconde tutta la preoccupazione non solo sua ma di chi gestisce le "comunità accoglienti" come preferisce definirle. Teme in particolare per le donne e i minori. Per loro la sistemazione è più complessa e non ci sono tante strutture idonee.
«A Venezia, a Castello, c'è un'abitazione della Caritas con nove posti. Da me c'è un ragazzo nigeraino, bravissimo, Evans, che ha tre bimbe, una nata pochi mesi fa. Con la compagna si è sposato a marzo. Lei, con le figliolette, vive nella casa condivisa del Comune di Mira, in una stanza di neanche venti metri quadrati, tutte insieme. Evans di sera le va a trovare».


Ogni mattina a quelli che chiama "i miei ragazzi", insegna in particolare la matematica. «È importante che sappiano fare di conto per non farsi fregare. Il più lo capiscono, il meno fanno fatica. Hanno frequentato quasi tutti la scuola coranica e materie come l'aritmetica, la geografia, la storia non sanno cosa siano».
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Il Gazzettino