Pordenone. Incassa i soldi ma non consegna le forniture di caffè, truffa? «No, era finito ai domiciliari»

Pordenone. Incassa i soldi ma non consegna le forniture di caffè, truffa? «No era finito ai domiciliari»
PORDENONE - La truffa? È vero che le forniture di caffè ordinate e pagate in contanti dalla gestrice del bar "Via Vai" non sono mai state consegnate,...

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PORDENONELa truffa? È vero che le forniture di caffè ordinate e pagate in contanti dalla gestrice del bar "Via Vai" non sono mai state consegnate, ma da parte di Michele Mazzilli, 31enne di Fiume Veneto, non vi era alcuna intenzione di raggirare l'esercente. La consegna non è mai avvenuta perché nel frattempo all'uomo è stato notificato un ordine di esecuzione, si è ritrovato agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico e il divieto di uscire di casa, oltre che di contattare persone che non fossero i propri familiari conviventi. E così anche la consegna del caffè è rimasta in sospeso. Una situazione che l'avvocato Anna Baggio ieri ha rimarcato nelle sue conclusioni chiedendo l'assoluzione dell'imputato: «Non c'era la volontà di truffare». Non è stata dello stesso avviso la pubblica accusa, che attraverso il vpo Beatrice Toffolon, tenuto conto della contestazione della recidiva, ha concluso per un anno di reclusione. Non è stata dello stesso avviso il giudice Francesca Vortali, che ha assolto Mazzilli perché il fatto non costituisce reato.

Il fatto

La vicenda risale a inizio 2021. Mazzilli trova lavoro come rappresentante di caffè e si occupa degli ordini in alcuni locali pubblici di Pordenone e provincia. Il capo area avverte anche la titolare del bar "Via Vai" che sarà contattata da un nuovo rappresentante. La prima consegna - merce per 58 euro - va a buon fine. La seconda - 280 euro - non verrà mai recapitata. L'esercente comincia a telefonare a Mazzilli ma non riceve risposta. Era sparito. Comincia a fare delle verifiche e scopre che ha dei precedenti per truffa. A quel punto scatta la denuncia, anche perché la donna è convinta che si chiamasse Michele Campagna, come riportato nella fattura.
Ieri è stato lo stesso Mazzilli a spiegare l'inghippo del nome: «In quel periodo avevo deciso, assieme ai miei fratelli, di prendere il cognome di mia madre. Avevo già fatto richiesta all'Anagrafe, ma poi non ho completato l'iter». La difesa ha anche specificato che la merce rimasta invenduta dopo l'esecuzione dell'ordine di carcerazione è stata restituita dalla madre di Mazzilli al capoarea e che probabilmente c'era anche il quantitativo destinato al bar pordenonese.


La Procura aveva aggravato la truffa dal fatto che era stata commessa in un periodo in cui l'imputato era stato ammesso a una misura alternativa al carcere. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino