Mestre, viaggio nel quartiere del delitto Nardelli: in via Rampa Cavalcavia fra tossici e degrado

Disagi continui nel quartiere di via Rampa Cavalcavia dopo l'omicidio di Nardelli: «Covo di tossici ma non di delinquenti»
MESTRE - Il quartiere che circonda il condominio di via Rampa Cavalcavia dove, mercoledì scorso, è stato ucciso a mani nude Lorenzo Nardelli dai cugini Radu e Marin...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
ATTIVA SUBITO
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
ATTIVA SUBITO
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
ATTIVA SUBITO

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
ATTIVA SUBITO
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
ATTIVA SUBITO
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
ATTIVA SUBITO
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

MESTRE - Il quartiere che circonda il condominio di via Rampa Cavalcavia dove, mercoledì scorso, è stato ucciso a mani nude Lorenzo Nardelli dai cugini Radu e Marin Rusu sembra sotto evacuazione: tra il ritorno del caldo, l'atmosfera pre-ferragostana e le attività chiuse per ferie, non c'è nessuno per strada.

A quasi una settimana dalla tragedia molte sono ancora le ombre che pervadono questa vicenda: ma la situazione di degrado che circonda questo palazzo una volta prestigioso e l'intero quartiere è sempre presente. Si nota per terra, dove si allargano chiazze di urina, nelle strade che portano alla stazione e nei parcheggi lì vicino dove, tra una vettura e l'altra, si rifugiano i tossicodipendenti per bucarsi. Soprattutto, si sente nelle parole esasperate dei residenti nel condominio.

«Non siamo un covo di delinquenti», precisa con fermezza la signora che, quella notte, ha chiamato per prima la polizia e che abita proprio davanti all'appartamento della tragedia. «Stanno uscendo notizie non vere, ci state dipingendo come un condominio di brutta gente, dove chissà cosa succede. Questo una volta era un palazzo di pregio, per venire ad abitare qui dovevi avere referenze impeccabili e anche il quartiere era prestigioso: lo so bene, dato che abito qui da 56 anni. Poi, col tempo, è diventato sempre peggio: ma lo schifo sta fuori di qui, sta nelle strade, nel quartiere, noi qui dentro siamo brava gente. E siamo un po' infastiditi di sentirci dipingere dai giornali come delinquenti».

In questo palazzo ha sempre abitato gente per bene, tiene a sottolineare la signora; ma ultimamente, da quando è subentrata Ive, la società che gestisce alcuni degli appartamenti dello stabile tra cui quello dei Rusu, la situazione è peggiorata: «L'hanno scritto sui giornali e lo dico anche io, non fanno i controlli, affittano a chiunque e questi sono i risultati. Prima di questo ultimo affittuario, che per quanto mi riguarda era una persona tranquillissima, lì ci abitava un signore del Bangladesh. Le dico solo che quando se n'è andato, perché non pagava l'affitto, ho dovuto disinfestare per ben tre volte il mio appartamento per le condizioni in cui versava tutto il pianerottolo. Noi abbiamo denunciato all'Ive e loro, invece di supportarci, ci hanno dato dei razzisti».

E intanto continuano le "ronde" dei tossici, ormai affezionati fruitori dei portici antistanti il palazzo, protetti dalle impalcature per i lavori del 110 che circondano il condominio. «Continuiamo a trovarceli sotto casa che si bucano e vediamo quello che lasciano per terra dopo essersi fatti la dose. Ieri notte devono averci dato dentro perché abbiamo trovato tutto l'occorrente per l'eroina, stagnola, cucchiaini. Chiamiamo la polizia ma non passano mai: anche loro sono frustrati perché non possono fare niente, mancano le leggi, è dall'alto che devono cambiare le cose. Pensi che una volta mi sono trovata uno di questi sbandati sul pianerottolo, con i pantaloni abbassati e la siringa in mano, che frugava tra le piante in cerca della roba. Mi sono armata di mattarello e gliene ho dette quattro: non ci ho più visto. Sono furbi, suonano il campanello in modo da non far scattare il videocitofono e dicono di essere di Amazon: qualcuno che apre lo trovano. Adesso che ci sono le impalcature abbiamo paura che ci entrino in casa da lì: già abbiamo paura a uscire e siamo blindati in casa, ci manca solo che ce li ritroviamo in salotto». Il ricordo di quella notte è ancora vivido: «Ci penso di continuo, sento ancora le urla di quel povero ragazzo e mi chiedo se si poteva fare qualcosa per salvarlo».

Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino