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MESTRE - Si tolse la vita "in diretta", nel giugno del 2021, gettandosi sotto un treno, nel corso di una videochiamata con la figlia diciassettenne, la quale ha assistito impotente alla tragedia. La vittima, una trentaquattrenne di origini moldave, secondo la procura di Venezia fu spinta al suicidio da anni di botte ricevute dal marito, un carpentiere di 40 anni, anche lui moldavo, che ora è finito sotto accusa per il reato di morte come conseguenza dei maltrattamenti inflitti alla moglie, che prevede pene tra i 12 e i 24 anni di reclusione.
Il processo è entrato nel vivo ieri pomeriggio, di fronte alla Corte d'assise di Venezia, con la deposizione dei primi testimoni, ed in particolare della figlia e delle sorelle della vittima. La prima a rispondere alle domande del pm Giorgio Gava è stata la sorella maggiore, la quale ha raccontato che l'imputato era spesso ubriaco e picchiava la moglie per futili motivi. La donna ha spiegato che fu la figlia della coppia a raccontarle le ultime parole pronunciate dalla trentaquattrenne, visibilmente ubriaca, prima di essere investita dal treno: «Mi uccido, sono stanca delle botte ricevute».
CALCI, PUGNI E BASTONATE
La coppia viveva in Italia da 4-5 anni, occupando case abbandonate e passando il tempo libero a bere, ha riferito la testimone, la quale ha spiegato di aver ricevuto più volte le confidenze della sorella in relazione alle botte ricevute dal marito, in relazione alle quali non ha però mai fatto querela, né si è mai recata al pronto soccorso. «La picchiava con calci e pugni, ma anche con un bastone e ho visto i lividi... La sollecitai più vole a venire ad abitare da me, ma non ne voleva sapere».
In linea il racconto della seconda sorella, che però aveva rapporti meno frequenti con la vittima e ha saputo essere meno dettagliata nella sua ricostruzione.
Più sfumata, invece, la deposizione della figlia, nella non facile situazione di dover ricordare il drammatico momento della morte della madre di fronte al padre, seduto di fronte a lei, sul banco degli imputati.
LA DIFESA
La difesa dell'imputato, rappresentata dagli avvocati Simone Zancani e Leonardo De Luca, ha cercato di evidenziare alcune contraddizioni emerse dalle varie testimonianze, tratteggiando il ritratto del quarantenne moldavo come un gran lavoratore, costretto in molte occasioni a trasferirsi all'estero per garantire il mantenimento ai quattro figli.
I legali hanno ricordato un episodio avvenuto nel 2017, quando la vittima, all'epoca residente in Moldavia, finì all'attenzione delle cronache in quanto aveva abbandonato i figli, vicenda dalla quale emergeva che la donna abusava di sostanze alcoliche e per la quale fu condannata per abbandono di minore, con sentenza prodotta ieri in aula.
La Corte d'assise, presieduta da Stefano Manduzio, ha quindi rigettato l'acquisizione, in quanto ritenuto inifluenti, di una serie di messaggi intervenuti tra la vittima e sua figlia, a cui aveva fatto riferimento in apertura di udienza la sorella maggiore.
Il processo proseguirà il 3 ottobre con i testimoni citati dalla difesa. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino