Mestre. Stop al centro islamico, la comunità bengalese fa ricorso al Tar. «Sarà una moschea»

MESTRE - La strada sarà quella del ricorso al Tar. È questa la carta più probabile che la comunità bengalese che fa riferimento all'associazione...

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MESTRE - La strada sarà quella del ricorso al Tar. È questa la carta più probabile che la comunità bengalese che fa riferimento all'associazione Ittihad giocherà per difendere la moschea di via Piave 17, colpita dall'ordinanza del Comune che chiede il ripristino della destinazione commerciale e lo stop alle attività di preghiera entro 30 giorni, cioé entro metà giugno. Per quello che all'inizio era stato presentato come un "Centro culturale islamico" ma che ieri, sul Gazzettino, il presidente dell'associazione ha chiarito che "sarà una moschea", la comunità incaricherà a giorni un avvocato al quale spetterà il compito di preparare il ricorso al Tribunale amministrativo regionale che potrà essere depositato entro metà luglio.

Ricorso al Tar

La difesa, a quanto pare, partirà proprio dalla sentenza del Consiglio di Stato relativa ad un analogo caso avvenuto a Mestre, in piazzale Madonna Pellegrina. Nel giugno 2020, infatti, il massimo organo della Giustizia amministrativa riconobbe che "il luogo di aggregazione sociale e di preghiera della comunità del Bangladesh non necessitava di preventivo rilascio di un titolo edilizio", dando ragione al Centro culturale islamico di Altobello.
Intanto, dopo l'intervento di ieri del sindaco Luigi Brugnaro che si è detto disponibile a prendere in esame la possibilità di aprire una moschea in città, ma al di fuori delle aree residenziali come quella di via Piave e magari coinvolgendo Fincantieri, il consigliere comunale di "Tutta la città insieme" Giovanni Andrea Martini replica: «Facciamo presente al primo cittadino che non è che può lavarsi le mani di una questione tanto delicata come quella della multietnicità del territorio in cui è stato eletto. La famosa "coesione sociale" con cui ha chiamato uno dei suoi assessorati si fa proprio attraverso una politica di apertura. Uno dei compiti di un Comune è quello di lavorare per l'integrazione e non continuare a proporre la soluzione dello "spostare i problemi altrove", come per le persone ai margini che frequentano le mense di Mestre. Così, invece di fare sicurezza, si accendono micce».

E che le comunità degli stranieri residenti in città stiano crescendo, lo conferma anche Kamrul Syed, esponente storico dei cittadini di origine bengalese presenti a Mestre. «Anche per me l'apertura del centro islamico di via Piave è stata una sorpresa - commenta -. Conoscevo quell'associazione quando era nella sede di via Dante, ma non sapevo davvero nulla sul fatto che si sarebbero trasferiti, né che avevano scelto quel luogo, cioè l'ex supermercato di via Piave». La vicenda, insomma, Kamrul Syed l'ha appresa come tutti dai giornali. «Io sono uno dei "vecchi"... - aggiunge - In città noi bengalesi siamo ormai in 12mila e, quando una comunità cresce, cresce in molti sensi, anche dal punto di vista dell'autonomia. Ora noi in via Piave stiamo lavorando sul fronte della sicurezza. Noi cerchiamo di vivere bene tutti assieme».

 

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Il Gazzettino