Mestre. «Stop alla moschea»: il Comune ordina la chiusura del centro islamico. Ecco perché

MESTRE - «Ripristinare l’attività commerciale e provvedere fin da subito a non consentire l’uso non assentito al fine di garantire necessarie condizioni...

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MESTRE - «Ripristinare l’attività commerciale e provvedere fin da subito a non consentire l’uso non assentito al fine di garantire necessarie condizioni di sicurezza». In tre parole, chiudere la “moschea”. Il Comune non ha perso tempo: in una decina di giorni, cioè da quando è esploso il caso dell’apertura del nuovo centro islamico in via Piave 17, negli 800 metri quadri che un tempo ospitavano un supermercato Pam, ha compiuto tutti i controlli sulle attività già avviate all’interno dei locali dove, tutti i giorni, fedeli della comunità bengalesi si ritrovano a pregare in diverse fasce orarie, al piano terra di un condominio con 65 appartamenti i cui abitanti, lunedì della scorsa settimana, si erano riuniti in assemblea proprio per chiedere verifiche.

LO STOP

E ieri è scattata la stretta, con l’ordinanza notificata al proprietario (italiano), al conduttore e all’utilizzatore dell’ex supermercato, con una diffida a rimettere in regola gli spazi entro 30 giorni dopo l’accertamento di opere edilizie abusive. Ma, soprattutto, con lo stop a tutte le attività: «Da subito non ne sarà consentito l’uso né l’accesso, al fine di garantire le necessarie condizioni di sicurezza». Il primo verbale della Polizia locale risale al 5 maggio scorso (il giorno successivo all’uscita della notizia sul Gazzettino), quindi i successivi controlli non avrebbero fatto altro che confermare quanto stava accadendo praticamente dalla fine dell’ultimo Ramadan, cioè la trasformazione dell’ex supermercato preso in affitto (e ancora da restaurare) in un luogo di culto. “Dalla relazione del Comando di Polizia locale emerge che in più occasioni i locali assiduamente frequentati quali luogo di culto, sono stati interessati da un abnorme afflusso di persone, in spregio a qualsivoglia cautela di prevenzione da pericoli e con rischi per la sicurezza, tali da rendere oggettivamente non idoneo l’immobile all’uso cui in concreto viene adibito” si legge nell’ordinanza firmata dal dirigente dello Sportello Unico Edilizia. Nei locali, inoltre, sono state trovate attrezzature, arredi, paramenti e avvisi con gli orari periodici delle preghiere che, secondo il Comune, confermerebbero lo svolgimento dell’attività di culto (non prevista in quella che dovrebbe essere un’attività commerciale), ma è stata rilevata anche la frequentazione di “persone abbigliate secondo l’uso religioso per le festività musulmane e per le attività di preghiera”, senza nessuna attività di filtro mirata a verificare l’appartenenza l’iscrizione all’associazione (che è una “Aps” ma non risulterebbe iscritta al Registro unico del Terzo settore) di quanti entravano nei locali. Tutto questo, si legge, facendo diventare “il luogo indiscriminatamente accessibile da tutti coloro che intendano praticare il culto della religione islamica, uomini e donne, risultando così all’evidenza luogo aperto al pubblico”.

E se questa è l’attività rilevata, sotto il profilo urbanistico si parla di un “rilevato cambio di destinazione d’uso”. «Ma agli uffici del Comune non risulta depositata alcuna istanza edilizia necessaria per la modifica di destinazione d’uso che consenta di accertare il rispetto di tutte le prescrizioni edilizie ed urbanistiche che rendono idonea l’unità immobiliare in relazione al nuovo utilizzo» spiegano da Ca’ Farsetti, né è possibile il cambio di destinazione in “attrezzatura di interesse comune per servizi religiosi – attività culturale/religiosa” trovandosi in una zona residenziale. Contro l’ordinanza, inviata anche a Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, Vigili del fuoco e Prefettura, i destinatari potranno ora presentare ricorso al Tar entro 60 giorni. Negli anni scorsi, tra il 2017 e il 2018, il Comune fece già chiudere tre centri islamici in via Fogazzaro, via Mestrina e in piazzale Madonna Pellegrina. Per i primi due la storia finì lì, mentre per quello di Altobello si arrivò fino al Consiglio di Stato che, nel giugno 2020, riconobbe che “il luogo di aggregazione sociale e di preghiera dalla comunità del Bangladesh non necessitava di preventivo rilascio di un titolo edilizio”, dando ragione al Centro culturale islamico. Ed ora sarà da capire come si muoverà la comunità bengalese.

 

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Il Gazzettino