​Medico da una vita, il dottor Guerra "rinuncia" alla pensione: «Resterò fino ai 72 anni, me lo chiedono i pazienti»

Il dottor Mario Guerra
L'ultima rilevazione della Regione, condotta quattro mesi fa, stimava circa 200.000 veneti momentaneamente privi del medico di base. Ma il dato è in continua...

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L'ultima rilevazione della Regione, condotta quattro mesi fa, stimava circa 200.000 veneti momentaneamente privi del medico di base. Ma il dato è in continua evoluzione, tanto che la scorsa settimana la sola Ulss 2 Marca Trevigiana contava 60 zone carenti con 100.000 pazienti coinvolti. Fra pensionamenti e dimissioni, la sanità territoriale vive un periodo di gravi difficoltà, a cui il decreto Milleproroghe ha cercato di mettere una pezza, consentendo ai dottori di famiglia di restare in servizio fino ai 72 anni. A un mese dalla sua conversione in legge, tuttavia, non sembra esserci la fila. Fa notizia, perciò, il caso del vicentino (con laurea a Padova) Mario Guerra, che dopo aver comunicato all'Ulss 8 il suo recesso dal prossimo 30 aprile, ha deciso di restare per un altro biennio nella trincea della medicina generale, di fatto primo in Veneto: «Eroe io? No, mi considero solo un onesto lavoratore. I miei assistiti mi hanno chiesto di restare e così non me la sono sentita di lasciarli soli».


LA DELIBERA
La crisi dei medici di base attraversa tutta l'Italia. Ma la delibera berica, firmata dalla dg Maria Giuseppina Bonavina, è emblematica: solo 7 assegnazioni definitive a fronte di 105 ambiti carenti, fra cui quello che comprende i territori di Brendola e Montecchio Maggiore. Restano sguarniti 6 ambulatori e sono stati affidati solo 4 incarichi temporanei (a corsisti con tutor), mentre non è possibile conferire quelli provvisori (a borsisti per dodici mesi) in quanto la graduatoria aziendale «risulta estremamente esigua» e bisogna «far fronte alle situazioni di carenza assistenziale più urgenti». Su questo sfondo, il 70enne Guerra aveva già formalizzato il proprio collocamento in quiescenza, dopo 45 anni in servizio dapprima nel suo ambulatorio individuale e ultimamente nella medicina di gruppo "Obiettivo salute", quand'è stata approvata la modifica normativa. «Ho visto le persone spaventate racconta di fronte alla prospettiva di non trovare un sostituto. A quel punto ho fatto una riflessione: fisicamente sto bene e il lavoro mi piace. Anzi, ad essere sinceri, lo amo ancora. Quindi ho scelto di rimanere per altri due anni al servizio dei miei 1.600 assistiti, malgrado tutto».


LA BUROCRAZIA


L'allusione è alla crescente burocrazia che grava sui camici bianchi. «Il periodo Covid spiega il professionista è stato terrificante. Fra provvedimenti contumaciali e certificazioni varie, passavamo le giornate a firmare le carte, più che a visitare i pazienti. Il fatto è che, per quelli della mia generazione, la cura è tutto. Abbiamo esercitato in un periodo storico in cui è stato possibile tessere una relazione non solo con il singolo paziente, ma anche con il suo nucleo familiare, consapevoli che una buona metà dei problemi di salute si risolve a partire dall'ascolto delle persone. Attualmente ricevo su appuntamento, ma anche quando avevo 20 o 25 persone fuori dalla porta, non ho mai vissuto questo mestiere con ansia: sono molto più ansiogeni i pacchi di moduli da compilare...». E le aggressioni ai medici? «Per fortuna non ho mai subìto violenze risponde Guerra ma in effetti vedo un aumento dell'animosità. Dopo la pandemia, la gente è più apprensiva ed arrabbiata quando è in ballo la propria salute, per cui scarica la propria bellicosità sul primo sanitario che trova. Per fortuna nel mio ambulatorio ho visto passare un paio di generazioni, con cui ho costruito una relazione di fiducia e stima. Ecco perché non scappo». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino