«La Sanità pubblica non è solo far quadrare i conti»: l'amaro racconto del medico di base

Enzo Bozza, medico di base
Estate del 1991, arrivo in piazza Tiziano a Pieve, dovevo prendere servizio in guardia medica, allora si chiamava così, e da quelle parti c'era la sede della Usl...

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Estate del 1991, arrivo in piazza Tiziano a Pieve, dovevo prendere servizio in guardia medica, allora si chiamava così, e da quelle parti c'era la sede della Usl Cadore. Mi accoglie il funzionario dell'ufficio convenzioni, signor De Carlo, mi spiega tutto e mi assegna il ruolo di jolly: coprirò le sedi di Cortina, Pieve, Auronzo e Santo Stefano. A Pieve c'era un ospedale, si chiamava Ospedale del Cadore, era lì dagli anni sessanta del secolo scorso. A piano terra, due stanze attigue erano il Pronto soccorso, striminzite ma efficaci fino all'inverosimile, a presentarmi la struttura il mitico dottor Zanetti, di Borca di Cadore, figura storica del Pronto soccorso di Pieve, nel team ospedaliero: una cardiologia con quattro cardiologi, anestesisti capeggiati dal compianto dottor Costola, un reparto di Ostetricia e Ginecologia con sala parto, una Pediatria con tanto di posti letto, un reparto di Chirurgia con due sale operatorie e una sala di assistenza subintensiva, un reparto di Medicina con primario, dottor Mongillo, e quattro internisti. Non potevano mancare il laboratorio analisi e una radiologia attive notte e giorno. E l'ortopedia? Ovviamente a Cortina dove si scia e qualcuno torna con le ossa rotte. A Pieve di Cadore c'era un ospedale e fuori un elicottero del Suem per i casi più sfortunati.

Era la risposta decente e onesta della Usl cadorina per la sua gente. Ad Auronzo, la psichiatria e l'alcoologia del dottor De Sandre. Avevamo tutto e tutto funzionava perfettamente.

Poi, la politica, sempre lontana dalla montagna e ignara delle cose di montagna, ha deciso che si poteva fare meglio spendendo meno

A Roma con sforbiciate da potatura pazza e incosciente, e così sono spariti 37 miliardi di euro per la sanità pubblica, a Belluno con i manager da valigetta 24 ore, accorpando ogni cosa a Belluno. Se non fosse stato per la coraggiosa resistenza del dottor Costola, sarebbe sparito anche l'elicottero.

Tirava una brutta aria, venti anni fa, e quando hanno chiuso la Usl Cadore per la nuova fiammante Usl 1 Dolomiti, ho incominciato a sentire puzza di bruciato. È così che il Codivilla, da eccellenza ortopedica italiana è diventato una palla al piede da vendere ai privati della salute. E poi, cos'è tutta quella gente nell'ospedale di Pieve? Quattro cardiologi per i trentamila abitanti del Cadore? Ne basta e avanza uno: così è rimasta solo la povera dottoressa Elisabetta Mongillo, che non può nemmeno andare in bagno per non causare una catastrofe in ospedale. Chiuse la chirurgia, la pediatria, la psichiatria, pronto soccorso ai gettonisti e la gente in processione verso Belluno, tranne la domenica, quando è bene rivolgersi a San Gennaro.

Ma per i manager di Roma e Belluno, i conti tornano. Esattamente come scriveva Noam Chomsky: "Questa è la strategia standard per privatizzare: togli i fondi, ti assicuri che le cose non funzionino, la gente si arrabbia e tu consegni al capitale privato". E i padri della Costituzione che volevano con l'articolo 32 una salute gratuita per tutti? È arrivato il momento di riportare a Pieve l'articolo 32 e spedire in Alaska i manager della salute.


* medico di base

 

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Il Gazzettino