Due medici non vaccinati impugnano al Tar la lettera dell'Ulss

Due medici non vaccinati ricorrono al Tar
BELLUNO - Due medici dell’Ulss Dolomiti, contrari al vaccino anti-covid, si sono rivolti al Tar per contrastare le pressioni dell’Ulss sull’obbligo vaccinale....

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BELLUNO - Due medici dell’Ulss Dolomiti, contrari al vaccino anti-covid, si sono rivolti al Tar per contrastare le pressioni dell’Ulss sull’obbligo vaccinale. Una presa di posizione che, secondo i legali dell’azienda sanitaria, non può reggere in tribunale. Primo: c’è un decreto, il 44 del primo aprile, già trasformato in legge, secondo cui la vaccinazione per gli operatori di interesse sanitario costituisce un «requisito essenziale per l’esercizio della professione». Chi non si vaccina, viene sospeso. Secondo motivo: l’avvocato Granata non ha impugnato l’atto di accertamento dell’Ulss con conseguente sospensione, bensì la lettera iniziale con cui l’azienda sanitaria invitava il medico a mettersi in regola entro 5 giorni.


LA VERSIONE DELL’ULSS
«In altre parole – spiega l’avvocato Maria Luisa Miazzi che assiste l’Ulss Dolomiti (e in generale tutte le aziende sanitarie del Veneto che i no-vax hanno portato in tribunale) – hanno fatto ricorso al Tar prima che arrivasse la sospensione, cioè il provvedimento dell’autorità sanitaria che, una volta accertata la mancata esecuzione dell’obbligo vaccinale, li sospende». Non solo. I due medici potrebbero non essere stati ancora sospesi. Insomma, un possibile vizio più di sostanza che di forma. «Secondo noi – continua Miazzi – l’impugnazione è stata fatta al Tar non per un atto definitivo (come poteva essere la sospensione, ndr) ma per una fase che non ha valenza di atto amministrativo (cioè l’invito a vaccinarsi da parte dell’azienda sanitaria, ndr)». Tant’è che il legale dei due medici aveva presentato un’istanza di sospensiva e l’ha ritirata prima dell’udienza riservandosi di introdurre motivi aggiunti: «Il che significa che ha capito che aveva anticipato i tempi e che doveva aspettare l’atto di accertamento». Nel frattempo, però, non ha aggiunto nulla. Quindi è probabile che i due medici stiano ancora lavorando pur non essendo vaccinati. La legge sull’obbligo vaccinale, riguardante coloro che lavorano nella sanità pubblica e privata, elenca anche i passaggi che i datori di lavoro avrebbero dovuto seguire per l’accertamento delle singole posizioni. Dopo l’incrocio, in Regione, tra l’elenco di dipendenti e collaboratori e quello dei vaccinati, sono emerse le persone che non avevano ancora ricevuto il vaccino anti-covid. Questi nomi sono stati inviati alle singole ulss che hanno poi nominato un delegato, il direttore del Dipartimento di Prevenzione (a Belluno Sandro Cinquetti), affinché agisse da autorità sanitaria.
L’ITER


All’inizio, i non vaccinati hanno ricevuto a casa una comunicazione di questo tipo: «Non risulti vaccinato. Hai 5 giorni di tempo per metterti in regola». In mancanza di una risposta da parte del sanitario, è partita la diffida: «Ci risulta che non ti sei ancora vaccinato. Ti diamo queste possibilità di acceso ai punti vaccinali, altrimenti comunicaci i motivi ostativi per i quali hai deciso di rifiutare il vaccino». Coloro che hanno risposto di non poterlo fare per patologie particolari o per problemi di carattere sanitario sono stati valutati da una commissione. Nell’ipotesi peggiore, quella in cui non sono stati trovati motivi validi per non vaccinarsi, è scattata la sospensione dal lavoro (comunicata dall’ulss) e poi dall’Albo (nel caso in cui l’interessato sia iscritto a un Ordine). L’avvocato Granata ha impugnato il primo invito («Entro 5 giorni…»), chiedendo in via principale l’annullamento degli atti. Poi la sospensione del giudizio, da rimettere alla Corte Costituzionale. Infine l’accorciamento dei termini fissati, rilevando motivi d’urgenza. «Ha rinunciato alla sospensiva – fa sapere l’avvocato Miazzi – Pensavo volesse aspettare l’atto di sospensione e impugnare quello, invece non è ancora arrivato nulla». L’udienza si svolgerà, in ogni caso, il prossimo 3 novembre.

 

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Il Gazzettino