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PORDENONE - Era riuscito a ottenere dalla Regione un finanziamento per l'acquisto di un costoso macchinario, presentando una finta situazione patrimoniale che mostrava la società Antea S.p.a., di cui titolari erano gli imprenditori Silvano Covre, 61 anni di Brugnera, e Armido Piazza, 59 anni, di Palazzolo dello Stella, in uno stato florido. In questo modo aveva tratto in inganno il comitato di gestione dei fondi FRIE che avevano dato il disco verde all'operazione. La realtà, però, era tutt'altra. Tant'è vero che l'azienda, nata dalla scissione societaria della Cp Srl, attiva nel settore della produzione e vendita di mobili, versava già in condizioni precarie, al punto da essere dichiarata fallita dopo pochi mesi.
L'UDIENZA
Il commercialista udinese Fabrizio Peloso, 63 anni, accusato di truffa per 2,3 milioni di euro ai danni della Regione è stato processato ieri in Tribunale a Pordenone con rito abbreviato. I due amministratori della Spa avevano già patteggiato la loro condanna in fase preliminare a un anno e sette mesi di reclusione, con pena sospesa.
L'INCHIESTA
La vicenda prende avvio nel 2017, quando i due amministratori, già soci al 50% di Cp srl di Brugnera, decidono di mantenere solo il settore immobiliare e cedere quello industriale alla Antea, trasferendo alla nuova società tutti gli impianti e le attrezzature per un valore di 700mila euro, come stimato dal commercialista udinese. Nel giro di poche settimane il capitale sociale della nuova costituita passa così da 10mila a 800mila euro. E tra i soci di minoranza entra anche a far parte la finanziaria regionale Friulia S.p.a. Presentata quindi la richiesta di un finanziamento per l'acquisto della costosa apparecchiatura, ottiene dalla Regione un milione 890 mila euro, di cui 835.500 già erogati, e un secondo finanziamento di 500mila da Friulia. Dopo pochi mesi, però, il 2 marzo 2018 il Tribunale di Pordenone decreta il fallimento di Antea. A insospettirsi e avviare le indagini, che hanno scoperto la truffa, erano stati gli uomini della Guardia di finanza che dopo attente verifiche avevano portato il caso sul tavolo della Procura di Pordenone.
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