UDINE - Ne ha per tutti: la Chiesa, i tuttologi televisivi, e naturalmente la politica. Ma Mauro Corona è così, prendere o lasciare: e il pubblico lo adora. La gente in fila...
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Corona è un fiume in piena, che oscilla dalla sua Erto al mondo: Gian Mario Villalta dialoga con lui muovendo dalla cattiveria insita in ognuno di noi, come dimostra l'odio nei confronti del secondo Gesù Bambino (nero) che spunta nei presepi a fianco di quello bianco nella sua favola. Tutti cercano di liberarsi del Gesù "diverso" perché «La guerra siamo noi», spiega Corona: «Siamo ipocriti dentro e ci salveranno solo i bambini che non sono ancora contaminati. Ma ci vorranno 30-40 anni».
E non è scontato, perché i cattivi maestri non mancano: «A partire dalla Chiesa i cui tesori sfamerebbero mezzo mondo e invece sono preda di una marmaglia di chierici e cardinali come quelli che vivono negli attici o lucrano sulla fede come l'ex abate di Montecassino». O i predicatori da talk show: «Solo in Italia esistono critici come Aldo Grasso pagati per guardare la tv ed esperti che spacciano verità facili a richiesta». Fino ad arrivare alla politica «che vuole il Ponte sullo Stretto di Messina quando a Erto c'è una frazione da dove portano giù i morti con la slitta e la Valcellina l'anno scorso è rimasta isolata 13 volte». A Erto, «dove non nevica firmato», «leggo i giornali due giorni dopo perché la posta ormai dimentica le montagne».
Corona vorrebbe gridarlo ma ormai siamo in una «democratura», dove «se parli una volta ti sfidavano a duello, ora ti chiedono i danni morali». Ma ancor peggio, c'è la tipica sindrome friulana che «ci fa dimenticare dei grandi perbene come Sgorlon», o che rende Corona inviso ai suoi stessi compaesani: «Io i nemici me li sono trovati in casa. Non mi perdonano di aver avuto successo».
«L'autore deve dare alla gente quello che la gente vuole. Non leggete il mio libro - scherza - compratelo soltanto. Agli scrittori interessa vendere». E per l'anno prossimo è già in cantiere una favola di "Gesù Bambina".
Corona però ha due rimpianti: non avere più al suo fianco "Icio", l'amico di una vita (a cui il libro è dedicato), e non aver vinto il Campiello: «Volevo dimostrare che poteva farcela anche uno dei Miserabili di Erto. Ma Sgarbi mi disse: vincerà un altro: ritirati, resterai nella storia. Sarebbe stato un gesto troppo eclatante, ma sai che colpo all'ipocrisia dei premi letterari!» Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino