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Mauro Corona, ha presentato nel tardo pomeriggio di oggi - 26 maggio - a Venezia, il suo ultimo libro “Quattro stagioni per vivere” edito da Mondadori, iniziativa promossa dalla rinnovata Libreria Studium by The Merchant of Venice.
«Tutto quello che ho scritto ha un precedente nella voce – si sofferma prima di entrare nella sala Conferenze di Sant'Apollonia - storie di vecchi, quando si andava nei fienili, nelle stalle, li chiamavano i filò in dialetto Veneto. Non ho fatto altro che riportare i loro racconti, aggiungendo e inventando assolutamente. Ho scritto libri terribili denunciando la violenza sulle donne, la violenza dei genitori sui figli. Un libro deve aprire vecchie ferite e produrne di nuove. Un libro deve far male ed essere indigesto».
Per sostentare la madre malata, Osvaldo (il protagonista) ha bisogno di carne, e parte a caccia di camosci. Si prepara a passare parecchio tempo nel freddo del bosco, quando si imbatte in quello che sembra un enorme colpo di fortuna. Mauro Corona descrive lo scorrere delle stagioni. Il bianco della neve, il rosso dell'autunno, il giallo dell'estate. Riflette sul potere salvifico della natura.
Lo scrittore è anche icona ambientalista sui generis. «La natura, io sono laico, ce l'ha data qualcuno per usarla – prosegue – quando con mio nonno tagliavamo i boschi avevamo un'impresa di legna, vendevamo alle famiglie. Se tagliavamo cento alberi ne piantavamo ducento. Questa è l'etica, rimettere prima lì e poi tagliare. L'Amazzonia la stanno distruggendo. L'uomo è una bestia feroce. No. E' un uomo feroce».
Scrittura, scultura o scalata? «Sono fatto – commenta - di istinti controllati da quel po' che resta di ragione. Se mi alzo alla mattina e voglio scolpire sono uno sculture. Se ho voglia di scrivere, lo faccio di notte, sono uno scrittore. Se ho voglia di scalare sono uno scalatore. Tutte e tre le faccende implicano il togliere. Devo togliere le parole. Devo togliere il legno se voglio fare la scultura e quando scalo devo togliere i movimenti. Quello che mi ha insegnato la scalata è la sintesi di sopravvivenza. Se dovessi scegliere sarebbe la scultura. Mi è accaduto, citando Borges, di avventurarmi a scrivere, ma ritengo che quello che ho letto sia molto più importante di quello che ho scritto».
Mauro Corona ha ricordato, rivolgendosi al pubblico in sala, anche il suo legame con la nostra città. «Mi sento legato a Venezia che non è fatta solo di palazzi e storia antica. Ci sono diversi ricordi – conclude – come la Biennale Arte, il red carpet alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica con Claudio Magris, le giornate trascorse nell'isola di Murano insieme agli amici scalatori che lavorano ancor oggi il vetro e che considero gli angeli delle manualità, le belle serate alpinistiche con il CAI di Venezia e Mestre».
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Il Gazzettino